Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XXXI
Canto XXXI, il quale tratta come l'auttore fue lasciato da Beatrice e trovò Santo Bernardo, per lo cui conducimento rivide Beatrice ne la sua gloria; poi pone una orazione che Dante fece a Beatrice che pregasse per lui lo nostro Segnore Iddio e la nostra Donna sua Madre; e come vide la Divina Maestà.
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In forma dunque di candida rosami si mostrava la milizia santache nel suo sangue Cristo fece sposa;ma l'altra, che volando vede e cantala gloria di colui che la 'nnamorae la bontà che la fece cotanta,sì come schiera d'ape che s'infiorauna fïata e una si ritornalà dove suo laboro s'insapora,nel gran fior discendeva che s'addornadi tante foglie, e quindi risalivalà dove 'l süo amor sempre soggiorna.Le facce tutte avean di fiamma vivae l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,che nulla neve a quel termine arriva.Quando scendean nel fior, di banco in bancoporgevan de la pace e de l'ardorech'elli acquistavan ventilando il fianco.Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fioredi tanta moltitudine volanteimpediva la vista e lo splendore:ché la luce divina è penetranteper l'universo secondo ch'è degno,sì che nulla le puote essere ostante.Questo sicuro e gaudïoso regno,frequente in gente antica e in novella,viso e amore avea tutto ad un segno.O trina luce che 'n unica stellascintillando a lor vista, sì li appaga!guarda qua giuso a la nostra procella!Se i barbari, venendo da tal plagache ciascun giorno d'Elice si cuopra,rotante col suo figlio ond' ella è vaga,veggendo Roma e l'ardüa sua opra,stupefaciensi, quando Lateranoa le cose mortali andò di sopra;ïo, che al divino da l'umano,a l'etterno dal tempo era venuto,e di Fiorenza in popol giusto e sano,di che stupor dovea esser compiuto!Certo tra esso e 'l gaudio mi facealibito non udire e starmi muto.E quasi peregrin che si ricreanel tempio del suo voto riguardando,e spera già ridir com' ello stea,su per la viva luce passeggiando,menava ïo li occhi per li gradi,mo sù, mo giù e mo recirculando.Vedëa visi a carità süadi,d'altrui lume fregiati e di suo riso,e atti ornati di tutte onestadi.La forma general di paradisogià tutta mïo sguardo avea compresa,in nulla parte ancor fermato fiso;e volgeami con voglia rïaccesaper domandar la mia donna di cosedi che la mente mia era sospesa.Uno intendëa, e altro mi rispuose:credea veder Beatrice e vidi un senevestito con le genti glorïose.Diffuso era per li occhi e per le genedi benigna letizia, in atto pioquale a tenero padre si convene.E «Ov' è ella?», sùbito diss' io.Ond' elli: «A terminar lo tuo disiromosse Beatrice me del loco mio;e se riguardi sù nel terzo girodal sommo grado, tu la rivedrainel trono che suoi merti le sortiro».Sanza risponder, li occhi sù levai,e vidi lei che si facea coronareflettendo da sé li etterni rai.Da quella regïon che più sù tonaocchio mortale alcun tanto non dista,qualunque in mare più giù s'abbandona,quanto lì da Beatrice la mia vista;ma nulla mi facea, ché süa effigenon discendëa a me per mezzo mista.«O donna in cui la mia speranza vige,e che soffristi per la mia salutein inferno lasciar le tue vestige,di tante cose quant' i' ho vedute,dal tuo podere e da la tua bontatericonosco la grazia e la virtute.Tu m'hai di servo tratto a libertateper tutte quelle vie, per tutt' i modiche di ciò fare avei la potestate.La tua magnificenza in me custodi,sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,piacente a te dal corpo si disnodi».Così orai; e quella, sì lontanacome parea, sorrise e riguardommi;poi si tornò a l'etterna fontana.E 'l santo sene: «Acciò che tu assommiperfettamente», disse, «il tuo cammino,a che priego e amor santo mandommi,vola con li occhi per questo giardino;ché veder lui t'acconcerà lo sguardopiù al montar per lo raggio divino.E la regina del cielo, ond' ïo ardotutto d'amor, ne farà ogne grazia,però ch'i' sono il suo fedel Bernardo».Qual è colui che forse di Croaziaviene a veder la Veronica nostra,che per l'antica fame non sen sazia,ma dice nel pensier, fin che si mostra:Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,or fu sì fatta la sembianza vostra?;tal era io mirando la vivacecarità di colui che 'n questo mondo,contemplando, gustò di quella pace.«Figliuol di grazia, quest' esser giocondo»,cominciò elli, «non ti sarà noto,tenendo li occhi pur qua giù al fondo;ma guarda i cerchi infino al più remoto,tanto che veggi seder la reginacui questo regno è suddito e devoto».Io levai li occhi; e come da mattinala parte orïental de l'orizzontesoverchia quella dove 'l sol declina,così, quasi di valle andando a montecon li occhi, vidi parte ne lo stremovincer di lume tutta l'altra fronte.E come quivi ove s'aspetta il temoche mal guidò Fetonte, più s'infiamma,e quinci e quindi il lume si fa scemo,così quella pacifica oriafiammanel mezzo s'avvivava, e d'ogne parteper igual modo allentava la fiamma;e a quel mezzo, con le penne sparte,vid' io più di mille angeli festanti,ciascun distinto di fulgore e d'arte.Vidi a lor giochi quivi e a lor cantiridere una bellezza, che letiziaera ne li occhi a tutti li altri santi;e s'io avessi in dir tanta diviziaquanta ad imaginar, non ardireilo minimo tentar di sua delizia.Bernardo, come vide li occhi mieinel caldo suo caler fissi e attenti,li suoi con tanto affetto volse a lei,che ' miei di rimirar fé più ardenti. |