Dante Alighieri
1265 - 1321
|
La Divina commedia
Paradiso
|
______________________________________________________________________________
|
|
|
Canto XXX
Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 30 (disegno, 1485/90)
|
369121518212427303336394245485154576063666972757881848790939699102105108111114117120123126129132135138141144147 |
Forse semilia miglia di lontanoci ferve l'ora sesta, e questo mondochina già l'ombra quasi al letto piano,quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,comincia a farsi tal, ch'alcuna stellaperde il parere infino a questo fondo;e come vien la chiarissima ancelladel sol più oltre, così 'l ciel si chiudedi vista in vista infino a la più bella.Non altrimenti il trïunfo che ludesempre dintorno al punto che mi vinse,parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,a poco a poco al mio veder si stinse:per che tornar con li occhi a Bëatricenulla vedere e amor mi costrinse.Se quanto infino a qui di lei si dicefosse conchiuso tutto in una loda,poca sarebbe a fornir questa vice.La bellezza ch'io vidi si trasmodanon pur di là da noi, ma certo io credoche solo il suo fattor tutta la goda.Da questo passo vinto mi concedopiù che già mai da punto di suo temasoprato fosse comico o tragedo:ché, come sole in viso che più trema,così lo rimembrar del dolce risola mente mia da me medesmo scema.Dal primo giorno ch'i' vidi il suo visoin questa vita, infino a questa vista,non m'è il seguire al mio cantar preciso;ma or convien che mio seguir desistapiù dietro a sua bellezza, poetando,come a l'ultimo suo ciascuno artista.Cotal qual io lascio a maggior bandoche quel de la mia tuba, che deducel'ardüa sua matera terminando,con atto e voce di spedito ducericominciò: «Noi siamo usciti foredel maggior corpo al ciel ch'è pura luce:luce intellettüal, piena d'amore;amor di vero ben, pien di letizia;letizia che trascende ogne dolzore.Qui vederai l'una e l'altra miliziadi paradiso, e l'una in quelli aspettiche tu vedrai a l'ultima giustizia».Come sùbito lampo che discettili spiriti visivi, sì che privada l'atto l'occhio di più forti obietti,così mi circunfulse luce viva,e lasciommi fasciato di tal velodel suo fulgor, che nulla m'appariva.«Sempre l'amor che queta questo cieloaccoglie in sé con sì fatta salute,per far disposto a sua fiamma il candelo».Non fur più tosto dentro a me venutequeste parole brievi, ch'io compresime sormontar di sopr' a mia virtute;e di novella vista mi raccesitale, che nulla luce è tanto mera,che li occhi miei non si fosser difesi;e vidi lume in forma di riverafulvido di fulgore, intra due rivedipinte di mirabil primavera.Di tal fiumana uscian faville vive,e d'ogne parte si mettien ne' fiori,quasi rubin che oro circunscrive;poi, come inebrïate da li odori,riprofondavan sé nel miro gurge,e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.«L'alto disio che mo t'infiamma e urge,d'aver notizia di ciò che tu vei,tanto mi piace più quanto più turge;ma di quest' acqua convien che tu beiprima che tanta sete in te si sazi»:così mi disse il sol de li occhi miei.Anche soggiunse: «Il fiume e li topazich'entrano ed escono e 'l rider de l'erbeson di lor vero umbriferi prefazi.Non che da sé sian queste cose acerbe;ma è difetto da la parte tua,che non hai viste ancor tanto superbe».Non è fantin che sì sùbito ruacol volto verso il latte, se si sveglimolto tardato da l'usanza sua,come fec' io, per far migliori spegliancor de li occhi, chinandomi a l'ondache si deriva perché vi s'immegli;e sì come di lei bevve la grondade le palpebre mie, così mi parvedi sua lunghezza divenuta tonda.Poi, come gente stata sotto larve,che pare altro che prima, se si svestela sembianza non süa in che disparve,così mi si cambiaro in maggior festeli fiori e le faville, sì ch'io vidiambo le corti del ciel manifeste.O isplendor di Dio, per cu' io vidil'alto trïunfo del regno verace,dammi virtù a dir com' ïo il vidi!Lume è là sù che visibile facelo creatore a quella creaturache solo in lui vedere ha la sua pace.E' si distende in circular figura,in tanto che la sua circunferenzasarebbe al sol troppo larga cintura.Fassi di raggio tutta sua parvenzareflesso al sommo del mobile primo,che prende quindi vivere e potenza.E come clivo in acqua di suo imosi specchia, quasi per vedersi addorno,quando è nel verde e ne' fioretti opimo,sì, soprastando al lume intorno intorno,vidi specchiarsi in più di mille sogliequanto di noi là sù fatto ha ritorno.E se l'infimo grado in sé raccogliesì grande lume, quanta è la larghezzadi questa rosa ne l'estreme foglie!La vista mia ne l'ampio e ne l'altezzanon si smarriva, ma tutto prendevail quanto e 'l quale di quella allegrezza.Presso e lontano, lì, né pon né leva:ché dove Dio sanza mezzo governa,la legge natural nulla rileva.Nel giallo de la rosa sempiterna,che si digrada e dilata e redoleodor di lode al sol che sempre verna,qual è colui che tace e dicer vole,mi trasse Bëatrice, e disse: «Miraquanto è 'l convento de le bianche stole!Vedi nostra città quant' ella gira;vedi li nostri scanni sì ripieni,che poca gente più ci si disira.E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieniper la corona che già v'è sù posta,prima che tu a queste nozze ceni,sederà l'alma, che fia giù agosta,de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italiaverrà in prima ch'ella sia disposta.La cieca cupidigia che v'ammaliasimili fatti v'ha al fantolinoche muor per fame e caccia via la balia.E fia prefetto nel foro divinoallora tal, che palese e covertonon anderà con lui per un cammino.Ma poco poi sarà da Dio soffertonel santo officio; ch'el sarà detrusolà dove Simon mago è per suo merto,e farà quel d'Alagna intrar più giuso». |