Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XXVII
Canto XXVII, dove tratta sì come santo Pietro appostolo, proverbiando li suoi successori papi, adempie l'animo de l'auttore di questo libro.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 27 (disegno, 1485/90)
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Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo,cominciò, gloria!, tutto 'l paradiso,sì che m'inebrïava il dolce canto.Ciò ch'io vedeva mi sembiava un risode l'universo; per che mia ebbrezzaintrava per l'udire e per lo viso.Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!oh vita intègra d'amore e di pace!oh sanza brama sicura ricchezza!Dinanzi a li occhi miei le quattro facestavano accese, e quella che pria venneincominciò a farsi più vivace,e tal ne la sembianza sua divenne,qual diverrebbe Iove, s'elli e Martefossero augelli e cambiassersi penne.La provedenza, che quivi compartevice e officio, nel beato corosilenzio posto avea da ogne parte,quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro,non ti maravigliar, ché, dicend' io,vedrai trascolorar tutti costoro.Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio,il luogo mio, il luogo mio, che vacane la presenza del Figliuol di Dio,fatt' ha del cimitero mio cloacadel sangue e de la puzza; onde 'l perversoche cadde di qua sù, là giù si placa».Di quel color che per lo sole avversonube dipigne da sera e da mane,vid' ïo allora tutto 'l ciel cosperso.E come donna onesta che permanedi sé sicura, e per l'altrui fallanza,pur ascoltando, timida si fane,così Beatrice trasmutò sembianza;e tale eclissi credo che 'n ciel fuequando patì la supprema possanza.Poi procedetter le parole suecon voce tanto da sé trasmutata,che la sembianza non si mutò piùe:«Non fu la sposa di Cristo allevatadel sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,per essere ad acquisto d'oro usata;ma per acquisto d'esto viver lietoe Sisto e Pïo e Calisto e Urbanosparser lo sangue dopo molto fleto.Non fu nostra intenzion ch'a destra manod'i nostri successor parte sedesse,parte da l'altra del popol cristiano;né che le chiavi che mi fuor concesse,divenisser signaculo in vessilloche contra battezzati combattesse;né ch'io fossi figura di sigilloa privilegi venduti e mendaci,ond' io sovente arrosso e disfavillo.In vesta di pastor lupi rapacisi veggion di qua sù per tutti i paschi:o difesa di Dio, perché pur giaci?Del sangue nostro Caorsini e Guaschis'apparecchian di bere: o buon principio,a che vil fine convien che tu caschi!Ma l'alta provedenza, che con Scipiodifese a Roma la gloria del mondo,soccorrà tosto, sì com' io concipio;e tu, figliuol, che per lo mortal pondoancor giù tornerai, apri la bocca,e non asconder quel ch'io non ascondo».Sì come di vapor gelati fioccain giuso l'aere nostro, quando 'l cornode la capra del ciel col sol si tocca,in sù vid' io così l'etera addornofarsi e fioccar di vapor trïunfantiche fatto avien con noi quivi soggiorno.Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto,li tolse il trapassar del più avanti.Onde la donna, che mi vide assoltode l'attendere in sù, mi disse: «Adimail viso e guarda come tu se' vòlto».Da l'ora ch'ïo avea guardato primai' vidi mosso me per tutto l'arcoche fa dal mezzo al fine il primo clima;sì ch'io vedea di là da Gade il varcofolle d'Ulisse, e di qua presso il litonel qual si fece Europa dolce carco.E più mi fora discoverto il sitodi questa aiuola; ma 'l sol procedeasotto i mie' piedi un segno e più partito.La mente innamorata, che donneacon la mia donna sempre, di riduread essa li occhi più che mai ardea;e se natura o arte fé pastureda pigliare occhi, per aver la mente,in carne umana o ne le sue pitture,tutte adunate, parrebber nïentever' lo piacer divin che mi refulse,quando mi volsi al suo viso ridente.E la virtù che lo sguardo m'indulse,del bel nido di Leda mi divelse,e nel ciel velocissimo m'impulse.Le parti sue vivissime ed eccelsesì uniforme son, ch'i' non so direqual Bëatrice per loco mi scelse.Ma ella, che vedëa 'l mio disire,incominciò, ridendo tanto lieta,che Dio parea nel suo volto gioire:«La natura del mondo, che quïetail mezzo e tutto l'altro intorno move,quinci comincia come da sua meta;e questo cielo non ha altro doveche la mente divina, in che s'accendel'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove.Luce e amor d'un cerchio lui comprende,sì come questo li altri; e quel precintocolui che 'l cinge solamente intende.Non è suo moto per altro distinto,ma li altri son mensurati da questo,sì come diece da mezzo e da quinto;e come il tempo tegna in cotal testole sue radici e ne li altri le fronde,omai a te può esser manifesto.Oh cupidigia che i mortali affondesì sotto te, che nessuno ha poderedi trarre li occhi fuor de le tue onde!Ben fiorisce ne li uomini il volere;ma la pioggia continüa convertein bozzacchioni le sosine vere.Fede e innocenza son repertesolo ne' parvoletti; poi ciascunapria fugge che le guance sian coperte.Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,che poi divora, con la lingua sciolta,qualunque cibo per qualunque luna;e tal, balbuzïendo, ama e ascoltala madre sua, che, con loquela intera,disïa poi di vederla sepolta.Così si fa la pelle bianca neranel primo aspetto de la bella figliadi quel ch'apporta mane e lascia sera.Tu, perché non ti facci maraviglia,pensa che 'n terra non è chi governi;onde sì svïa l'umana famiglia.Ma prima che gennaio tutto si sverniper la centesma ch'è là giù negletta,raggeran sì questi cerchi superni,che la fortuna che tanto s'aspetta,le poppe volgerà u' son le prore,sì che la classe correrà diretta;e vero frutto verrà dopo 'l fiore». |