Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XVIII
Canto XVIII, nel quale si monta ne la stella di Giove, e narrasi come li luminari spirituali figuravano mirabilmente.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 18 (disegno, 1485/90)
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Già si godeva solo del suo verboquello specchio beato, e io gustavalo mio, temprando col dolce l'acerbo;e quella donna ch'a Dio mi menavadisse: «Muta pensier; pensa ch'i' sonopresso a colui ch'ogne torto disgrava».Io mi rivolsi a l'amoroso suonodel mio conforto; e qual io allor vidine li occhi santi amor, qui l'abbandono:non perch' io pur del mio parlar diffidi,ma per la mente che non può rediresovra sé tanto, s'altri non la guidi.Tanto poss' io di quel punto ridire,che, rimirando lei, lo mio affettolibero fu da ogne altro disire,fin che 'l piacere etterno, che direttoraggiava in Bëatrice, dal bel visomi contentava col secondo aspetto.Vincendo me col lume d'un sorriso,ella mi disse: «Volgiti e ascolta;ché non pur ne' miei occhi è paradiso».Come si vede qui alcuna voltal'affetto ne la vista, s'elli è tanto,che da lui sia tutta l'anima tolta,così nel fiammeggiar del folgór santo,a ch'io mi volsi, conobbi la vogliain lui di ragionarmi ancora alquanto.El cominciò: «In questa quinta sogliade l'albero che vive de la cimae frutta sempre e mai non perde foglia,spiriti son beati, che giù, primache venissero al ciel, fuor di gran voce,sì ch'ogne musa ne sarebbe opima.Però mira ne' corni de la croce:quello ch'io nomerò, lì farà l'attoche fa in nube il suo foco veloce».Io vidi per la croce un lume trattodal nomar Iosuè, com' el si feo;né mi fu noto il dir prima che 'l fatto.E al nome de l'alto Macabeovidi moversi un altro roteando,e letizia era ferza del paleo.Così per Carlo Magno e per Orlandodue ne seguì lo mio attento sguardo,com' occhio segue suo falcon volando.Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardoe 'l duca Gottifredi la mia vistaper quella croce, e Ruberto Guiscardo.Indi, tra l'altre luci mota e mista,mostrommi l'alma che m'avea parlatoqual era tra i cantor del cielo artista.Io mi rivolsi dal mio destro latoper vedere in Beatrice il mio dovere,o per parlare o per atto, segnato;e vidi le sue luci tanto mere,tanto gioconde, che la sua sembianzavinceva li altri e l'ultimo solere.E come, per sentir più dilettanzabene operando, l'uom di giorno in giornos'accorge che la sua virtute avanza,sì m'accors' io che 'l mio girare intornocol cielo insieme avea cresciuto l'arco,veggendo quel miracol più addorno.E qual è 'l trasmutare in picciol varcodi tempo in bianca donna, quando 'l voltosuo si discarchi di vergogna il carco,tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,per lo candor de la temprata stellasesta, che dentro a sé m'avea ricolto.Io vidi in quella giovïal facellalo sfavillar de l'amor che lì erasegnare a li occhi miei nostra favella.E come augelli surti di rivera,quasi congratulando a lor pasture,fanno di sé or tonda or altra schiera,sì dentro ai lumi sante creaturevolitando cantavano, e faciensior D, or I, or L in sue figure.Prima, cantando, a sua nota moviensi;poi, diventando l'un di questi segni,un poco s'arrestavano e taciensi.O diva Pegasëa che li 'ngegnifai glorïosi e rendili longevi,ed essi teco le cittadi e ' regni,illustrami di te, sì ch'io rilevile lor figure com' io l'ho concette:paia tua possa in questi versi brevi!Mostrarsi dunque in cinque volte settevocali e consonanti; e io notaile parti sì, come mi parver dette.diligite iustitiam, primaifur verbo e nome di tutto 'l dipinto;qui iudicatis terram, fur sezzai.Poscia ne l'emme del vocabol quintorimasero ordinate; sì che Giovepareva argento lì d'oro distinto.E vidi scendere altre luci doveera il colmo de l'emme, e lì quetarsicantando, credo, il ben ch'a sé le move.Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsisurgono innumerabili faville,onde li stolti sogliono agurarsi,resurger parver quindi più di milleluci e salir, qual assai e qual poco,sì come 'l sol che l'accende sortille;e quïetata ciascuna in suo loco,la testa e 'l collo d'un'aguglia vidirappresentare a quel distinto foco.Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi;ma esso guida, e da lui si rammentaquella virtù ch'è forma per li nidi.L'altra bëatitudo, che contentapareva prima d'ingigliarsi a l'emme,con poco moto seguitò la 'mprenta.O dolce stella, quali e quante gemmemi dimostraro che nostra giustiziaeffetto sia del ciel che tu ingemme!Per ch'io prego la mente in che s'iniziatuo moto e tua virtute, che rimiriond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;sì ch'un'altra fïata omai s'adiridel comperare e vender dentro al temploche si murò di segni e di martìri.O milizia del ciel cu' io contemplo,adora per color che sono in terratutti svïati dietro al malo essemplo!Già si solea con le spade far guerra;ma or si fa togliendo or qui or quivilo pan che 'l pïo Padre a nessun serra.Ma tu che sol per cancellare scrivi,pensa che Pietro e Paulo, che moriroper la vigna che guasti, ancor son vivi.Ben puoi tu dire: «I' ho fermo 'l disirosì a colui che volle viver soloe che per salti fu tratto al martiro,ch'io non conosco il pescator né Polo». |