Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XIII
Canto XIII, nel quale san Tommaso d'Aquino, de l'ordine d'i frati predicatori solve una questione toccata di sopra da Salamone.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 13 (disegno, 1485/90)
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Imagini, chi bene intender cupequel ch'i' or vidi – e ritegna l'image,mentre ch'io dico, come ferma rupe – ,quindici stelle che 'n diverse plagelo ciel avvivan di tanto serenoche soperchia de l'aere ogne compage;imagini quel carro a cu' il senobasta del nostro cielo e notte e giorno,sì ch'al volger del temo non vien meno;imagini la bocca di quel cornoche si comincia in punta de lo steloa cui la prima rota va dintorno,aver fatto di sé due segni in cielo,qual fece la figliuola di Minoiallora che sentì di morte il gelo;e l'un ne l'altro aver li raggi suoi,e amendue girarsi per manierache l'uno andasse al primo e l'altro al poi;e avrà quasi l'ombra de la veracostellazione e de la doppia danzache circulava il punto dov' io era:poi ch'è tanto di là da nostra usanza,quanto di là dal mover de la Chianasi move il ciel che tutti li altri avanza.Lì si cantò non Bacco, non Peana,ma tre persone in divina natura,e in una persona essa e l'umana.Compié 'l cantare e 'l volger sua misura;e attesersi a noi quei santi lumi,felicitando sé di cura in cura.Ruppe il silenzio ne' concordi numiposcia la luce in che mirabil vitadel poverel di Dio narrata fumi,e disse: «Quando l'una paglia è trita,quando la sua semenza è già riposta,a batter l'altra dolce amor m'invita.Tu credi che nel petto onde la costasi trasse per formar la bella guanciail cui palato a tutto 'l mondo costa,e in quel che, forato da la lancia,e prima e poscia tanto sodisfece,che d'ogne colpa vince la bilancia,quantunque a la natura umana leceaver di lume, tutto fosse infusoda quel valor che l'uno e l'altro fece;e però miri a ciò ch'io dissi suso,quando narrai che non ebbe 'l secondolo ben che ne la quinta luce è chiuso.Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo,e vedräi il tuo credere e 'l mio direnel vero farsi come centro in tondo.Ciò che non more e ciò che può morirenon è se non splendor di quella ideache partorisce, amando, il nostro Sire;ché quella viva luce che sì meadal suo lucente, che non si disunada lui né da l'amor ch'a lor s'intrea,per sua bontate il suo raggiare aduna,quasi specchiato, in nove sussistenze,etternalmente rimanendosi una.Quindi discende a l'ultime potenzegiù d'atto in atto, tanto divenendo,che più non fa che brevi contingenze;e queste contingenze essere intendole cose generate, che producecon seme e sanza seme il ciel movendo.La cera di costoro e chi la ducenon sta d'un modo; e però sotto 'l segnoidëale poi più e men traluce.Ond' elli avvien ch'un medesimo legno,secondo specie, meglio e peggio frutta;e voi nascete con diverso ingegno.Se fosse a punto la cera deduttae fosse il cielo in sua virtù supprema,la luce del suggel parrebbe tutta;ma la natura la dà sempre scema,similemente operando a l'artistach'a l'abito de l'arte ha man che trema.Però se 'l caldo amor la chiara vistade la prima virtù dispone e segna,tutta la perfezion quivi s'acquista.Così fu fatta già la terra degnadi tutta l'animal perfezïone;così fu fatta la Vergine pregna;sì ch'io commendo tua oppinïone,che l'umana natura mai non fuené fia qual fu in quelle due persone.Or s'i' non procedesse avanti piùe,Dunque, come costui fu sanza pare?comincerebber le parole tue.Ma perché paia ben ciò che non pare,pensa chi era, e la cagion che 'l mosse,quando fu detto «Chiedi», a dimandare.Non ho parlato sì, che tu non posseben veder ch'el fu re, che chiese sennoacciò che re sufficïente fosse;non per sapere il numero in che ennoli motor di qua sù, o se necessecon contingente mai necesse fenno;non si est dare primum motum esse,o se del mezzo cerchio far si puotetrïangol sì ch'un retto non avesse.Onde, se ciò ch'io dissi e questo note,regal prudenza è quel vedere impariin che lo stral di mia intenzion percuote;e se al «surse» drizzi li occhi chiari,vedrai aver solamente respettoai regi, che son molti, e ' buon son rari.Con questa distinzion prendi 'l mio detto;e così puote star con quel che credidel primo padre e del nostro Diletto.E questo ti sia sempre piombo a' piedi,per farti mover lento com' uom lassoe al sì e al no che tu non vedi:ché quelli è tra li stolti bene a basso,che sanza distinzione afferma e negane l'un così come ne l'altro passo;perch' elli 'ncontra che più volte piegal'oppinïon corrente in falsa parte,e poi l'affetto l'intelletto lega.Vie più che 'ndarno da riva si parte,perché non torna tal qual e' si move,chi pesca per lo vero e non ha l'arte.E di ciò sono al mondo aperte proveParmenide, Melisso e Brisso e molti,li quali andaro e non sapëan dove;sì fé Sabellio e Arrio e quelli stoltiche furon come spade a le Scritturein render torti li diritti volti.Non sien le genti, ancor, troppo sicurea giudicar, sì come quei che stimale biade in campo pria che sien mature;ch'i' ho veduto tutto 'l verno primalo prun mostrarsi rigido e feroce,poscia portar la rosa in su la cima;e legno vidi già dritto e velocecorrer lo mar per tutto suo cammino,perire al fine a l'intrar de la foce.Non creda donna Berta e ser Martino,per vedere un furare, altro offerere,vederli dentro al consiglio divino;ché quel può surgere, e quel può cadere». |