Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XIV
Canto XIV, nel quale Salamone solve alcuna cosa dubitata; e montasi ne la stella di Marte. La quinta parte comincia qui.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 14 (disegno, 1485/90)
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Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centromovesi l'acqua in un ritondo vaso,secondo ch'è percosso fuori o dentro:ne la mia mente fé sùbito casoquesto ch'io dico, sì come si tacquela glorïosa vita di Tommaso,per la similitudine che nacquedel suo parlare e di quel di Beatrice,a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:«A costui fa mestieri, e nol vi dicené con la voce né pensando ancora,d'un altro vero andare a la radice.Diteli se la luce onde s'infioravostra sustanza, rimarrà con voietternalmente sì com' ell' è ora;e se rimane, dite come, poiche sarete visibili rifatti,esser porà ch'al veder non vi nòi».Come, da più letizia pinti e tratti,a la fïata quei che vanno a rotalevan la voce e rallegrano li atti,così, a l'orazion pronta e divota,li santi cerchi mostrar nova gioianel torneare e ne la mira nota.Qual si lamenta perché qui si moiaper viver colà sù, non vide quivelo refrigerio de l'etterna ploia.Quell' uno e due e tre che sempre vivee regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,non circunscritto, e tutto circunscrive,tre volte era cantato da ciascunodi quelli spirti con tal melodia,ch'ad ogne merto saria giusto muno.E io udi' ne la luce più diadel minor cerchio una voce modesta,forse qual fu da l'angelo a Maria,risponder: «Quanto fia lunga la festadi paradiso, tanto il nostro amoresi raggerà dintorno cotal vesta.La sua chiarezza séguita l'ardore;l'ardor la visïone, e quella è tanta,quant' ha di grazia sovra suo valore.Come la carne glorïosa e santafia rivestita, la nostra personapiù grata fia per esser tutta quanta;per che s'accrescerà ciò che ne donadi gratüito lume il sommo bene,lume ch'a lui veder ne condiziona;onde la visïon crescer convene,crescer l'ardor che di quella s'accende,crescer lo raggio che da esso vene.Ma sì come carbon che fiamma rende,e per vivo candor quella soverchia,sì che la sua parvenza si difende;così questo folgór che già ne cerchiafia vinto in apparenza da la carneche tutto dì la terra ricoperchia;né potrà tanta luce affaticarne:ché li organi del corpo saran fortia tutto ciò che potrà dilettarne».Tanto mi parver sùbiti e accortie l'uno e l'altro coro a dicer «Amme!»,che ben mostrar disio d'i corpi morti:forse non pur per lor, ma per le mamme,per li padri e per li altri che fuor carianzi che fosser sempiterne fiamme.Ed ecco intorno, di chiarezza pari,nascere un lustro sopra quel che v'era,per guisa d'orizzonte che rischiari.E sì come al salir di prima seracomincian per lo ciel nove parvenze,sì che la vista pare e non par vera,parvemi lì novelle sussistenzecominciare a vedere, e fare un girodi fuor da l'altre due circunferenze.Oh vero sfavillar del Santo Spiro!come si fece sùbito e candentea li occhi miei che, vinti, nol soffriro!Ma Bëatrice sì bella e ridentemi si mostrò, che tra quelle vedutesi vuol lasciar che non seguir la mente.Quindi ripreser li occhi miei virtutea rilevarsi; e vidimi translatosol con mia donna in più alta salute.Ben m'accors' io ch'io era più levato,per l'affocato riso de la stella,che mi parea più roggio che l'usato.Con tutto 'l core e con quella favellach'è una in tutti, a Dio feci olocausto,qual conveniesi a la grazia novella.E non er' anco del mio petto essaustol'ardor del sacrificio, ch'io conobbiesso litare stato accetto e fausto;ché con tanto lucore e tanto robbim'apparvero splendor dentro a due raggi,ch'io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».Come distinta da minori e maggilumi biancheggia tra ' poli del mondoGalassia sì, che fa dubbiar ben saggi;sì costellati facean nel profondoMarte quei raggi il venerabil segnoche fan giunture di quadranti in tondo.Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;ché quella croce lampeggiava Cristo,sì ch'io non so trovare essempro degno;ma chi prende sua croce e segue Cristo,ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,vedendo in quell' albor balenar Cristo.Di corno in corno e tra la cima e 'l bassosi movien lumi, scintillando fortenel congiugnersi insieme e nel trapasso:così si veggion qui diritte e torte,veloci e tarde, rinovando vista,le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,moversi per lo raggio onde si listatalvolta l'ombra che, per sua difesa,la gente con ingegno e arte acquista.E come giga e arpa, in tempra tesadi molte corde, fa dolce tintinnoa tal da cui la nota non è intesa,così da' lumi che lì m'apparinnos'accogliea per la croce una melodeche mi rapiva, sanza intender l'inno.Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,però ch'a me venìa «Resurgi» e «Vinci»come a colui che non intende e ode.Ïo m'innamorava tanto quinci,che 'nfino a lì non fu alcuna cosache mi legasse con sì dolci vinci.Forse la mia parola par troppo osa,posponendo il piacer de li occhi belli,ne' quai mirando mio disio ha posa;ma chi s'avvede che i vivi suggellid'ogne bellezza più fanno più suso,e ch'io non m'era lì rivolto a quelli,escusar puommi di quel ch'io m'accusoper escusarmi, e vedermi dir vero:ché 'l piacer santo non è qui dischiuso,perché si fa, montando, più sincero. |