Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto XI
Canto XI, nel quale si tratta del sopradetto primo girone e de' superbi medesimi, e qui si purga la vana gloria ch'è uno de' rami de la superbia; dove nomina il conte Uberto da Santafiore e messer Provenzano Salvani di Siena e molti altri.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 11 (disegno, 1485/90)
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«O Padre nostro, che ne' cieli stai,non circunscritto, ma per più amorech'ai primi effetti di là sù tu hai,laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valoreda ogne creatura, com' è degnodi render grazie al tuo dolce vapore.Vegna ver' noi la pace del tuo regno,ché noi ad essa non potem da noi,s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.Come del suo voler li angeli tuoifan sacrificio a te, cantando osanna,così facciano li uomini de' suoi.Dà oggi a noi la cotidiana manna,sanza la qual per questo aspro disertoa retro va chi più di gir s'affanna.E come noi lo mal ch'avem soffertoperdoniamo a ciascuno, e tu perdonabenigno, e non guardar lo nostro merto.Nostra virtù che di legger s'adona,non spermentar con l'antico avversaro,ma libera da lui che sì la sprona.Quest' ultima preghiera, segnor caro,già non si fa per noi, ché non bisogna,ma per color che dietro a noi restaro».Così a sé e noi buona ramognaquell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo,simile a quel che talvolta si sogna,disparmente angosciate tutte a tondoe lasse su per la prima cornice,purgando la caligine del mondo.Se di là sempre ben per noi si dice,di qua che dire e far per lor si puoteda quei c'hanno al voler buona radice?Ben si de' loro atar lavar le noteche portar quinci, sì che, mondi e lievi,possano uscire a le stellate ruote.«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievitosto, sì che possiate muover l'ala,che secondo il disio vostro vi lievi,mostrate da qual mano inver' la scalasi va più corto; e se c'è più d'un varco,quel ne 'nsegnate che men erto cala;ché questi che vien meco, per lo 'ncarcode la carne d'Adamo onde si veste,al montar sù, contra sua voglia, è parco».Le lor parole, che rendero a questeche dette avea colui cu' io seguiva,non fur da cui venisser manifeste;ma fu detto: «A man destra per la rivacon noi venite, e troverete il passopossibile a salir persona viva.E s'io non fossi impedito dal sassoche la cervice mia superba doma,onde portar convienmi il viso basso,cotesti, ch'ancor vive e non si noma,guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,e per farlo pietoso a questa soma.Io fui latino e nato d'un gran Tosco:Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;non so se 'l nome suo già mai fu vosco.L'antico sangue e l'opere leggiadred'i miei maggior mi fer sì arrogante,che, non pensando a la comune madre,ogn' uomo ebbi in despetto tanto avante,ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,e sallo in Campagnatico ogne fante.Io sono Omberto; e non pur a me dannosuperbia fa, ché tutti miei consortiha ella tratti seco nel malanno.E qui convien ch'io questo peso portiper lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti».Ascoltando chinai in giù la faccia;e un di lor, non questi che parlava,si torse sotto il peso che li 'mpaccia,e videmi e conobbemi e chiamava,tenendo li occhi con fatica fisia me che tutto chin con loro andava.«Oh!», diss' io lui, «non se' tu Oderisi,l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' artech'alluminar chiamata è in Parisi?».«Frate», diss' elli, «più ridon le carteche pennelleggia Franco Bolognese;l'onore è tutto or suo, e mio in parte.Ben non sare' io stato sì cortesementre ch'io vissi, per lo gran disiode l'eccellenza ove mio core intese.Di tal superbia qui si paga il fio;e ancor non sarei qui, se non fosseche, possendo peccar, mi volsi a Dio.Oh vana gloria de l'umane posse!com' poco verde in su la cima dura,se non è giunta da l'etati grosse!Credette Cimabue ne la pitturatener lo campo, e ora ha Giotto il grido,sì che la fama di colui è scura.Così ha tolto l'uno a l'altro Guidola gloria de la lingua; e forse è natochi l'uno e l'altro caccerà del nido.Non è il mondan romore altro ch'un fiatodi vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,e muta nome perché muta lato.Che voce avrai tu più, se vecchia scindida te la carne, che se fossi mortoanzi che tu lasciassi il pappo e 'l dindi,pria che passin mill' anni? ch'è più cortospazio a l'etterno, ch'un muover di cigliaal cerchio che più tardi in cielo è torto.Colui che del cammin sì poco pigliadinanzi a me, Toscana sonò tutta;e ora a pena in Siena sen pispiglia,ond' era sire quando fu distruttala rabbia fiorentina, che superbafu a quel tempo sì com' ora è putta.La vostra nominanza è color d'erba,che viene e va, e quei la discoloraper cui ella esce de la terra acerba».E io a lui: «Tuo vero dir m'incorabona umiltà, e gran tumor m'appiani;ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;ed è qui perché fu presuntüosoa recar Siena tutta a le sue mani.Ito è così e va, sanza riposo,poi che morì; cotal moneta rendea sodisfar chi è di là troppo oso».E io: «Se quello spirito ch'attende,pria che si penta, l'orlo de la vita,qua giù dimora e qua sù non ascende,se buona orazïon lui non aita,prima che passi tempo quanto visse,come fu la venuta lui largita?».«Quando vivea più glorïoso», disse,«liberamente nel Campo di Siena,ogne vergogna diposta, s'affisse;e lì, per trar l'amico suo di pena,ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,si condusse a tremar per ogne vena.Più non dirò, e scuro so che parlo;ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicinifaranno sì che tu potrai chiosarlo.Quest' opera li tolse quei confini». |