Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto X
Canto X, dove si tratta del primo girone del proprio purgatorio, il quale luogo discrive l'auttore sotto certi intagli d'antiche imagini; e qui si purga la colpa de la superbia.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 10 (disegno, 1485/90)
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Poi fummo dentro al soglio de la portache 'l mal amor de l'anime disusa,perché fa parer dritta la via torta,sonando la senti' esser richiusa;e s'io avesse li occhi vòlti ad essa,qual fora stata al fallo degna scusa?Noi salavam per una pietra fessa,che si moveva e d'una e d'altra parte,sì come l'onda che fugge e s'appressa.«Qui si conviene usare un poco d'arte»,cominciò 'l duca mio, «in accostarsior quinci, or quindi al lato che si parte».E questo fece i nostri passi scarsi,tanto che pria lo scemo de la lunarigiunse al letto suo per ricorcarsi,che noi fossimo fuor di quella cruna;ma quando fummo liberi e apertisù dove il monte in dietro si rauna,ïo stancato e amendue incertidi nostra via, restammo in su un pianosolingo più che strade per diserti.Da la sua sponda, ove confina il vano,al piè de l'alta ripa che pur sale,misurrebbe in tre volte un corpo umano;e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,or dal sinistro e or dal destro fianco,questa cornice mi parea cotale.Là sù non eran mossi i piè nostri anco,quand' io conobbi quella ripa intornoche dritto di salita aveva manco,esser di marmo candido e addornod'intagli sì, che non pur Policleto,ma la natura lì avrebbe scorno.L'angel che venne in terra col decretode la molt' anni lagrimata pace,ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,dinanzi a noi pareva sì veracequivi intagliato in un atto soave,che non sembiava imagine che tace.Giurato si saria ch'el dicesse Ave!;perché iv' era imaginata quellach'ad aprir l'alto amor volse la chiave;e avea in atto impressa esta favellaEcce ancilla Deï, propriamentecome figura in cera si suggella.«Non tener pur ad un loco la mente»,disse 'l dolce maestro, che m'aveada quella parte onde 'l cuore ha la gente.Per ch'i' mi mossi col viso, e vedeadi retro da Maria, da quella costaonde m'era colui che mi movea,un'altra storia ne la roccia imposta;per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,acciò che fosse a li occhi miei disposta.Era intagliato lì nel marmo stessolo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,per che si teme officio non commesso.Dinanzi parea gente; e tutta quanta,partita in sette cori, a' due mie' sensifaceva dir l'un No, l'altro Sì, canta.Similemente al fummo de li 'ncensiche v'era imaginato, li occhi e 'l nasoe al sì e al no discordi fensi.Lì precedeva al benedetto vaso,trescando alzato, l'umile salmista,e più e men che re era in quel caso.Di contra, effigïata ad una vistad'un gran palazzo, Micòl ammiravasì come donna dispettosa e trista.I' mossi i piè del loco dov' io stava,per avvisar da presso un'altra istoria,che di dietro a Micòl mi biancheggiava.Quiv' era storïata l'alta gloriadel roman principato, il cui valoremosse Gregorio a la sua gran vittoria;i' dico di Traiano imperadore;e una vedovella li era al freno,di lagrime atteggiata e di dolore.Intorno a lui parea calcato e pienodi cavalieri, e l'aguglie ne l'orosovr' essi in vista al vento si movieno.La miserella intra tutti costoropareva dir: «Segnor, fammi vendettadi mio figliuol ch'è morto, ond' io m'accoro»;ed elli a lei rispondere: «Or aspettatanto ch'i' torni»; e quella: «Segnor mio»,come persona in cui dolor s'affretta,«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov' io,la ti farà»; ed ella: «L'altrui benea te che fia, se 'l tuo metti in oblio?»;ond' elli: «Or ti conforta; ch'ei convenech'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:giustizia vuole e pietà mi ritene».Colui che mai non vide cosa novaprodusse esto visibile parlare,novello a noi perché qui non si trova.Mentr' io mi dilettava di guardarel'imagini di tante umilitadi,e per lo fabbro loro a veder care,«Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,mormorava il poeta, «molte genti:questi ne 'nvïeranno a li alti gradi».Li occhi miei, ch'a mirare eran contentiper veder novitadi ond' e' son vaghi,volgendosi ver' lui non furon lenti.Non vo' però, lettor, che tu ti smaghidi buon proponimento per udirecome Dio vuol che 'l debito si paghi.Non attender la forma del martìre:pensa la succession; pensa ch'al peggiooltre la gran sentenza non può ire.Io cominciai: «Maestro, quel ch'io veggiomuovere a noi, non mi sembian persone,e non so che, sì nel veder vaneggio».Ed elli a me: «La grave condizionedi lor tormento a terra li rannicchia,sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione.Ma guarda fiso là, e disviticchiacol viso quel che vien sotto a quei sassi:già scorger puoi come ciascun si picchia».O superbi cristian, miseri lassi,che, de la vista de la mente infermi,fidanza avete ne' retrosi passi,non v'accorgete voi che noi siam verminati a formar l'angelica farfalla,che vola a la giustizia sanza schermi?Di che l'animo vostro in alto galla,poi siete quasi antomata in difetto,sì come vermo in cui formazion falla?Come per sostentar solaio o tetto,per mensola talvolta una figurasi vede giugner le ginocchia al petto,la qual fa del non ver vera rancuranascere 'n chi la vede; così fattivid' io color, quando puosi ben cura.Vero è che più e meno eran contrattisecondo ch'avien più e meno a dosso;e qual più pazïenza avea ne li atti,piangendo parea dicer: Più non posso. |