Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto XII
Canto XII, ove si tratta del secondo girone dove si sono intagliate certe imagini antiche de' superbi; e quivi si puniscono li superbi medesimi.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 12 (disegno, 1485/90)
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Di pari, come buoi che vanno a giogo,m'andava io con quell' anima carca,fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.Ma quando disse: «Lascia lui e varca;ché qui è buono con l'ali e coi remi,quantunque può, ciascun pinger sua barca»;dritto sì come andar vuolsi rife'micon la persona, avvegna che i pensierimi rimanessero e chinati e scemi.Io m'era mosso, e seguia volontieridel mio maestro i passi, e amenduegià mostravam com' eravam leggeri;ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:buon ti sarà, per tranquillar la via,veder lo letto de le piante tue».Come, perché di lor memoria sia,sovra i sepolti le tombe terragneportan segnato quel ch'elli eran pria,onde lì molte volte si ripiagneper la puntura de la rimembranza,che solo a' pïi dà de le calcagne;sì vid' io lì, ma di miglior sembianzasecondo l'artificio, figuratoquanto per via di fuor del monte avanza.Vedea colui che fu nobil creatopiù ch'altra creatura, giù dal cielofolgoreggiando scender, da l'un lato.Vedëa Brïareo fitto dal telocelestïal giacer, da l'altra parte,grave a la terra per lo mortal gelo.Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,armati ancora, intorno al padre loro,mirar le membra d'i Giganti sparte.Vedea Nembròt a piè del gran lavoroquasi smarrito, e riguardar le gentiche 'n Sennaàr con lui superbi fuoro.O Nïobè, con che occhi dolentivedea io te segnata in su la strada,tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!O Saùl, come in su la propria spadaquivi parevi morto in Gelboè,che poi non sentì pioggia né rugiada!O folle Aragne, sì vedea io tegià mezza ragna, trista in su li straccide l'opera che mal per te si fé.O Roboàm, già non par che minacciquivi 'l tuo segno; ma pien di spaventonel porta un carro, sanza ch'altri il cacci.Mostrava ancor lo duro pavimentocome Almeon a sua madre fé caroparer lo sventurato addornamento.Mostrava come i figli si gittarosovra Sennacherìb dentro dal tempio,e come, morto lui, quivi il lasciaro.Mostrava la ruina e 'l crudo scempioche fé Tamiri, quando disse a Ciro:«Sangue sitisti, e io di sangue t'empio».Mostrava come in rotta si fuggiroli Assiri, poi che fu morto Oloferne,e anche le reliquie del martiro.Vedeva Troia in cenere e in caverne;o Ilïón, come te basso e vilemostrava il segno che lì si discerne!Qual di pennel fu maestro o di stileche ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivimirar farieno uno ingegno sottile?Morti li morti e i vivi parean vivi:non vide mei di me chi vide il vero,quant' io calcai, fin che chinato givi.Or superbite, e via col viso altero,figliuoli d'Eva, e non chinate il voltosì che veggiate il vostro mal sentero!Più era già per noi del monte vòltoe del cammin del sole assai più spesoche non stimava l'animo non sciolto,quando colui che sempre innanzi attesoandava, cominciò: «Drizza la testa;non è più tempo di gir sì sospeso.Vedi colà un angel che s'apprestaper venir verso noi; vedi che tornadal servigio del dì l'ancella sesta.Di reverenza il viso e li atti addorna,sì che i diletti lo 'nvïarci in suso;pensa che questo dì mai non raggiorna!».Io era ben del suo ammonir usopur di non perder tempo, sì che 'n quellamateria non potea parlarmi chiuso.A noi venìa la creatura bella,biancovestito e ne la faccia qualepar tremolando mattutina stella.Le braccia aperse, e indi aperse l'ale;disse: «Venite: qui son presso i gradi,e agevolemente omai si sale.A questo invito vegnon molto radi:o gente umana, per volar sù nata,perché a poco vento così cadi?».Menocci ove la roccia era tagliata;quivi mi batté l'ali per la fronte;poi mi promise sicura l'andata.Come a man destra, per salire al montedove siede la chiesa che soggiogala ben guidata sopra Rubaconte,si rompe del montar l'ardita fogaper le scalee che si fero ad etadech'era sicuro il quaderno e la doga;così s'allenta la ripa che cadequivi ben ratta da l'altro girone;ma quinci e quindi l'alta pietra rade.Noi volgendo ivi le nostre persone,Beati pauperes spiritu! vocicantaron sì, che nol diria sermone.Ahi quanto son diverse quelle focida l'infernali! ché quivi per cantis'entra, e là giù per lamenti feroci.Già montavam su per li scaglion santi,ed esser mi parea troppo più lieveche per lo pian non mi parea davanti.Ond' io: «Maestro, dì, qual cosa grevelevata s'è da me, che nulla quasiper me fatica, andando, si riceve?».Rispuose: «Quando i P che son rimasiancor nel volto tuo presso che stinti,saranno, com' è l'un, del tutto rasi,fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,che non pur non fatica sentiranno,ma fia diletto loro esser sù pinti».Allor fec' io come color che vannocon cosa in capo non da lor saputa,se non che ' cenni altrui sospecciar fanno;per che la mano ad accertar s'aiuta,e cerca e truova e quello officio adempieche non si può fornir per la veduta;e con le dita de la destra scempietrovai pur sei le lettere che 'ncisequel da le chiavi a me sovra le tempie:a che guardando, il mio duca sorrise. |