Dante Alighieri
1265 - 1321
|
La Divina commedia
Inferno
|
______________________________________________________________________________
|
|
|
Canto XXII
Canto XXII, nel quale abomina quelli di Sardigna e tratta alcuna cosa de la sagacitade de' barattieri in persona d'uno navarrese, e de' barattieri medesimi questo canta.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, inf. 22.78 (disegno, 1485/90)
|
369121518212427303336394245485154576063666972757881848790939699102105108111114117120123126129132135138141144147150 |
Io vidi già cavalier muover campo,e cominciare stormo e far lor mostra,e talvolta partir per loro scampo;corridor vidi per la terra vostra,o Aretini, e vidi gir gualdane,fedir torneamenti e correr giostra;quando con trombe, e quando con campane,con tamburi e con cenni di castella,e con cose nostrali e con istrane;né già con sì diversa cennamellacavalier vidi muover né pedoni,né nave a segno di terra o di stella.Noi andavam con li diece demoni.Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesacoi santi, e in taverna coi ghiottoni.Pur a la pegola era la mia 'ntesa,per veder de la bolgia ogne contegnoe de la gente ch'entro v'era incesa.Come i dalfini, quando fanno segnoa' marinar con l'arco de la schienache s'argomentin di campar lor legno,talor così, ad alleggiar la pena,mostrav' alcun de' peccatori 'l dossoe nascondea in men che non balena.E come a l'orlo de l'acqua d'un fossostanno i ranocchi pur col muso fuori,sì che celano i piedi e l'altro grosso,sì stavan d'ogne parte i peccatori;ma come s'appressava Barbariccia,così si ritraén sotto i bollori.I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia,uno aspettar così, com' elli 'ncontrach'una rana rimane e l'altra spiccia;e Graffiacan, che li era più di contra,li arruncigliò le 'mpegolate chiomee trassel sù, che mi parve una lontra.I' sapea già di tutti quanti 'l nome,sì li notai quando fuorono eletti,e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.«O Rubicante, fa che tu li mettili unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,gridavan tutti insieme i maladetti.E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,che tu sappi chi è lo sciaguratovenuto a man de li avversari suoi».Lo duca mio li s'accostò allato;domandollo ond' ei fosse, e quei rispuose:«I' fui del regno di Navarra nato.Mia madre a servo d'un segnor mi puose,che m'avea generato d'un ribaldo,distruggitor di sé e di sue cose.Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;quivi mi misi a far baratteria,di ch'io rendo ragione in questo caldo».E Cirïatto, a cui di bocca usciad'ogne parte una sanna come a porco,li fé sentir come l'una sdruscia.Tra male gatte era venuto 'l sorco;ma Barbariccia il chiuse con le bracciae disse: «State in là, mentr' io lo 'nforco».E al maestro mio volse la faccia;«Domanda», disse, «ancor, se più disiisaper da lui, prima ch'altri 'l disfaccia».Lo duca dunque: «Or dì: de li altri riiconosci tu alcun che sia latinosotto la pece?». E quelli: «I' mi partii,poco è, da un che fu di là vicino.Così foss' io ancor con lui coperto,ch'i' non temerei unghia né uncino!».E Libicocco «Troppo avem sofferto»,disse; e preseli 'l braccio col runciglio,sì che, stracciando, ne portò un lacerto.Draghignazzo anco i volle dar di pigliogiuso a le gambe; onde 'l decurio lorosi volse intorno intorno con mal piglio.Quand' elli un poco rappaciati fuoro,a lui, ch'ancor mirava sua ferita,domandò 'l duca mio sanza dimoro:«Chi fu colui da cui mala partitadi' che facesti per venire a proda?».Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,quel di Gallura, vasel d'ogne froda,ch'ebbe i nemici di suo donno in mano,e fé sì lor, che ciascun se ne loda.Danar si tolse e lasciolli di piano,sì com' e' dice; e ne li altri offici anchebarattier fu non picciol, ma sovrano.Usa con esso donno Michel Zanchedi Logodoro; e a dir di Sardignale lingue lor non si sentono stanche.Omè, vedete l'altro che digrigna;i' direi anche, ma i' temo ch'ellonon s'apparecchi a grattarmi la tigna».E 'l gran proposto, vòlto a Farfarelloche stralunava li occhi per fedire,disse: «Fatti 'n costà, malvagio uccello!».«Se voi volete vedere o udire»,ricominciò lo spaürato appresso,«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;ma stieno i Malebranche un poco in cesso,sì ch'ei non teman de le lor vendette;e io, seggendo in questo loco stesso,per un ch'io son, ne farò venir settequand' io suffolerò, com' è nostro usodi fare allor che fori alcun si mette».Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso,crollando 'l capo, e disse: «Odi maliziach'elli ha pensata per gittarsi giuso!».Ond' ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia,rispuose: «Malizioso son io troppo,quand' io procuro a' mia maggior trestizia».Alichin non si tenne e, di rintoppoa li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,io non ti verrò dietro di gualoppo,ma batterò sovra la pece l'ali.Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo,a veder se tu sol più di noi vali».O tu che leggi, udirai nuovo ludo:ciascun da l'altra costa li occhi volse,quel prima, ch'a ciò fare era più crudo.Lo Navarrese ben suo tempo colse;fermò le piante a terra, e in un puntosaltò e dal proposto lor si sciolse.Di che ciascun di colpa fu compunto,ma quei più che cagion fu del difetto;però si mosse e gridò: «Tu se' giunto!».Ma poco i valse: ché l'ali al sospettonon potero avanzar; quelli andò sotto,e quei drizzò volando suso il petto:non altrimenti l'anitra di botto,quando 'l falcon s'appressa, giù s'attuffa,ed ei ritorna sù crucciato e rotto.Irato Calcabrina de la buffa,volando dietro li tenne, invaghitoche quei campasse per aver la zuffa;e come 'l barattier fu disparito,così volse li artigli al suo compagno,e fu con lui sopra 'l fosso ghermito.Ma l'altro fu bene sparvier grifagnoad artigliar ben lui, e amenduecadder nel mezzo del bogliente stagno.Lo caldo sghermitor sùbito fue;ma però di levarsi era neente,sì avieno inviscate l'ali sue.Barbariccia, con li altri suoi dolente,quattro ne fé volar da l'altra costacon tutt' i raffi, e assai prestamentedi qua, di là discesero a la posta;porser li uncini verso li 'mpaniati,ch'eran già cotti dentro da la crosta.E noi lasciammo lor così 'mpacciati. |