Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Inferno
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Canto XXI
Canto XXI, il quale tratta de le pene ne le quali sono puniti coloro che commisero baratteria, nel quale vizio abbomina li lucchesi; e qui tratta di dieci demoni, ministri a l'offizio di questo luogo; e cogliesi qui il tempo che fue compilata per dante questa opera.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, inf. 21.1 (disegno, 1485/90)
Sandro Botticelli, Divina Commedia, inf. 21.22 (disegno, 1485/90)
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Così di ponte in ponte, altro parlandoche la mia comedìa cantar non cura,venimmo; e tenavamo 'l colmo, quandorestammo per veder l'altra fessuradi Malebolge e li altri pianti vani;e vidila mirabilmente oscura.Quale ne l'arzanà de' Vinizianibolle l'inverno la tenace pece
ché navicar non ponno – in quella vecechi fa suo legno novo e chi ristoppale coste a quel che più vïaggi fece;chi ribatte da proda e chi da poppa;altri fa remi e altri volge sarte;chi terzeruolo e artimon rintoppa – :tal, non per foco ma per divin' arte,bollia là giuso una pegola spessa,che 'nviscava la ripa d'ogne parte.I' vedea lei, ma non vedëa in essamai che le bolle che 'l bollor levava,e gonfiar tutta, e riseder compressa.Mentr' io là giù fisamente mirava,lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,mi trasse a sé del loco dov' io stava.Allor mi volsi come l'uom cui tardadi veder quel che li convien fuggiree cui paura sùbita sgagliarda,che, per veder, non indugia 'l partire:e vidi dietro a noi un diavol nerocorrendo su per lo scoglio venire.Ahi quant' elli era ne l'aspetto fero!e quanto mi parea ne l'atto acerbo,con l'ali aperte e sovra i piè leggero!L'omero suo, ch'era aguto e superbo,carcava un peccator con ambo l'anche,e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo.Del nostro ponte disse: «O Malebranche,ecco un de li anzïan di Santa Zita!Mettetel sotto, ch'i' torno per anchea quella terra, che n'è ben fornita:ogn' uom v'è barattier, fuor che Bonturo;del no, per li denar, vi si fa ita».Là giù 'l buttò, e per lo scoglio durosi volse; e mai non fu mastino scioltocon tanta fretta a seguitar lo furo.Quel s'attuffò, e tornò sù convolto;ma i demon che del ponte avean coperchio,gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!qui si nuota altrimenti che nel Serchio!Però, se tu non vuo' di nostri graffi,non far sopra la pegola soverchio».Poi l'addentar con più di cento raffi,disser: «Coverto convien che qui balli,sì che, se puoi, nascosamente accaffi».Non altrimenti i cuoci a' lor vassallifanno attuffare in mezzo la caldaiala carne con li uncin, perché non galli.Lo buon maestro «Acciò che non si paiache tu ci sia», mi disse, «giù t'acquattadopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia;e per nulla offension che mi sia fatta,non temer tu, ch'i' ho le cose conte,perch' altra volta fui a tal baratta».Poscia passò di là dal co del ponte;e com' el giunse in su la ripa sesta,mestier li fu d'aver sicura fronte.Con quel furore e con quella tempestach'escono i cani a dosso al poverelloche di sùbito chiede ove s'arresta,usciron quei di sotto al ponticello,e volser contra lui tutt' i runcigli;ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!Innanzi che l'uncin vostro mi pigli,traggasi avante l'un di voi che m'oda,e poi d'arruncigliarmi si consigli».Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;per ch'un si mosse – e li altri stetter fermi –e venne a lui dicendo: «Che li approda?».«Credi tu, Malacoda, qui vedermiesser venuto», disse 'l mio maestro,«sicuro già da tutti vostri schermi,sanza voler divino e fato destro?Lascian' andar, ché nel cielo è volutoch'i' mostri altrui questo cammin silvestro».Allor li fu l'orgoglio sì caduto,ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,e disse a li altri: «Omai non sia feruto».E 'l duca mio a me: «O tu che sieditra li scheggion del ponte quatto quatto,sicuramente omai a me ti riedi».Per ch'io mi mossi e a lui venni ratto;e i diavoli si fecer tutti avanti,sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto;così vid' ïo già temer li fantich'uscivan patteggiati di Caprona,veggendo sé tra nemici cotanti.I' m'accostai con tutta la personalungo 'l mio duca, e non torceva li occhida la sembianza lor ch'era non buona.Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi»,diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?».E rispondien: «Sì, fa che gliel' accocchi».Ma quel demonio che tenea sermonecol duca mio, si volse tutto prestoe disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».Poi disse a noi: «Più oltre andar per questoiscoglio non si può, però che giacetutto spezzato al fondo l'arco sesto.E se l'andare avante pur vi piace,andatevene su per questa grotta;presso è un altro scoglio che via face.Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta,mille dugento con sessanta seianni compié che qui la via fu rotta.Io mando verso là di questi mieia riguardar s'alcun se ne sciorina;gite con lor, che non saranno rei».«Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina»,cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;e Barbariccia guidi la decina.Libicocco vegn' oltre e Draghignazzo,Cirïatto sannuto e Graffiacanee Farfarello e Rubicante pazzo.Cercate 'ntorno le boglienti pane;costor sian salvi infino a l'altro scheggioche tutto intero va sovra le tane».«Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?»,diss' io, «deh, sanza scorta andianci soli,se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.Se tu se' sì accorto come suoli,non vedi tu ch'e' digrignan li dentie con le ciglia ne minaccian duoli?».Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi;lasciali digrignar pur a lor senno,ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti».Per l'argine sinistro volta dienno;ma prima avea ciascun la lingua strettacoi denti, verso lor duca, per cenno;ed elli avea del cul fatto trombetta. |