Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Inferno
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Canto XX
Canto XX, dove si tratta de l'indovini e sortilegi e de l'incantatori, e de l'origine di Mantova, di che trattare diede cagione Manto incantatrice; e di loro pene e miseria e de la condizione loro misera, ne la quarta bolgia, in persona di Michele di Scozia e di più altri.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, inf. 20.16 (disegno, 1485/90)
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Di nova pena mi conven far versie dar matera al ventesimo cantode la prima canzon, ch'è d'i sommersi.Io era già disposto tutto quantoa riguardar ne lo scoperto fondo,che si bagnava d'angoscioso pianto;e vidi gente per lo vallon tondovenir, tacendo e lagrimando, al passoche fanno le letane in questo mondo.Come 'l viso mi scese in lor più basso,mirabilmente apparve esser travoltociascun tra 'l mento e 'l principio del casso,ché da le reni era tornato 'l volto,e in dietro venir li convenia,perché 'l veder dinanzi era lor tolto.Forse per forza già di parlasiasi travolse così alcun del tutto;ma io nol vidi, né credo che sia.Se Dio ti lasci, lettor, prender fruttodi tua lezione, or pensa per te stessocom' io potea tener lo viso asciutto,quando la nostra imagine di pressovidi sì torta, che 'l pianto de li occhile natiche bagnava per lo fesso.Certo io piangea, poggiato a un de' rocchidel duro scoglio, sì che la mia scortami disse: «Ancor se' tu de li altri sciocchi?Qui vive la pietà quand' è ben morta;chi è più scellerato che coluiche al giudicio divin passion comporta?Drizza la testa, drizza, e vedi a cuis'aperse a li occhi d'i Teban la terra;per ch'ei gridavan tutti: «Dove rui,Anfïarao? perché lasci la guerra?».E non restò di ruinare a vallefino a Minòs che ciascheduno afferra.Mira c'ha fatto petto de le spalle;perché volle veder troppo davante,di retro guarda e fa retroso calle.Vedi Tiresia, che mutò sembiantequando di maschio femmina divenne,cangiandosi le membra tutte quante;e prima, poi, ribatter li convenneli duo serpenti avvolti, con la verga,che rïavesse le maschili penne.Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga,che ne' monti di Luni, dove roncalo Carrarese che di sotto alberga,ebbe tra ' bianchi marmi la speloncaper sua dimora; onde a guardar le stellee 'l mar non li era la veduta tronca.E quella che ricuopre le mammelle,che tu non vedi, con le trecce sciolte,e ha di là ogne pilosa pelle,Manto fu, che cercò per terre molte;poscia si puose là dove nacqu' io;onde un poco mi piace che m'ascolte.Poscia che 'l padre suo di vita uscìoe venne serva la città di Baco,questa gran tempo per lo mondo gio.Suso in Italia bella giace un laco,a piè de l'Alpe che serra Lamagnasovra Tiralli, c'ha nome Benaco.Per mille fonti, credo, e più si bagnatra Garda e Val Camonica e Penninode l'acqua che nel detto laco stagna.Loco è nel mezzo là dove 'l trentinopastore e quel di Brescia e 'l veronesesegnar poria, s'e' fesse quel cammino.Siede Peschiera, bello e forte arneseda fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,ove la riva 'ntorno più discese.Ivi convien che tutto quanto caschiciò che 'n grembo a Benaco star non può,e fassi fiume giù per verdi paschi.Tosto che l'acqua a correr mette co,non più Benaco, ma Mencio si chiamafino a Governol, dove cade in Po.Non molto ha corso, ch'el trova una lama,ne la qual si distende e la 'mpaluda;e suol di state talor essere grama.Quindi passando la vergine crudavide terra, nel mezzo del pantano,sanza coltura e d'abitanti nuda.Lì, per fuggire ogne consorzio umano,ristette con suoi servi a far sue arti,e visse, e vi lasciò suo corpo vano.Li uomini poi che 'ntorno erano spartis'accolsero a quel loco, ch'era forteper lo pantan ch'avea da tutte parti.Fer la città sovra quell' ossa morte;e per colei che 'l loco prima elesse,Mantüa l'appellar sanz' altra sorte.Già fuor le genti sue dentro più spesse,prima che la mattia da Casalodida Pinamonte inganno ricevesse.Però t'assenno che, se tu mai odioriginar la mia terra altrimenti,la verità nulla menzogna frodi».E io: «Maestro, i tuoi ragionamentimi son sì certi e prendon sì mia fede,che li altri mi sarien carboni spenti.Ma dimmi, de la gente che procede,se tu ne vedi alcun degno di nota;ché solo a ciò la mia mente rifiede».Allor mi disse: «Quel che da la gotaporge la barba in su le spalle brune,fu – quando Grecia fu di maschi vòta,sì ch'a pena rimaser per le cune –augure, e diede 'l punto con Calcantain Aulide a tagliar la prima fune.Euripilo ebbe nome, e così 'l cantal'alta mia tragedìa in alcun loco:ben lo sai tu che la sai tutta quanta.Quell' altro che ne' fianchi è così poco,Michele Scotto fu, che veramentede le magiche frode seppe 'l gioco.Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,ch'avere inteso al cuoio e a lo spagoora vorrebbe, ma tardi si pente.Vedi le triste che lasciaron l'ago,la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine;fecer malie con erbe e con imago.Ma vienne omai, ché già tiene 'l confined'amendue li emisperi e tocca l'ondasotto Sobilia Caino e le spine;e già iernotte fu la luna tonda:ben ten de' ricordar, ché non ti nocquealcuna volta per la selva fonda».Sì mi parlava, e andavamo introcque. |