Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Inferno
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Canto XIX
Canto XIX, nel quale sgrida contra li simoniachi in persona di Simone Mago, che fu al tempo di san Pietro e di santo Paulo, e contra tutti coloro che simonia seguitano, e qui pone le pene che sono concedute a coloro che seguitano il sopradetto vizio, e dinomaci entro papa Niccola de li Orsini di Roma perché seguitò simonia; e pone de la terza bolgia de l'inferno.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, inf. 19.25 (disegno, 1485/90)
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O Simon mago, o miseri seguaciche le cose di Dio, che di bontatedeon essere spose, e voi rapaciper oro e per argento avolterate,or convien che per voi suoni la tromba,però che ne la terza bolgia state.Già eravamo, a la seguente tomba,montati de lo scoglio in quella partech'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba.O somma sapïenza, quanta è l'arteche mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,e quanto giusto tua virtù comparte!Io vidi per le coste e per lo fondopiena la pietra livida di fóri,d'un largo tutti e ciascun era tondo.Non mi parean men ampi né maggioriche que' che son nel mio bel San Giovanni,fatti per loco d'i battezzatori;l'un de li quali, ancor non è molt' anni,rupp' io per un che dentro v'annegava:e questo sia suggel ch'ogn' omo sganni.Fuor de la bocca a ciascun soperchiavad'un peccator li piedi e de le gambeinfino al grosso, e l'altro dentro stava.Le piante erano a tutti accese intrambe;per che sì forte guizzavan le giunte,che spezzate averien ritorte e strambe.Qual suole il fiammeggiar de le cose untemuoversi pur su per la strema buccia,tal era lì dai calcagni a le punte.«Chi è colui, maestro, che si crucciaguizzando più che li altri suoi consorti»,diss' io, «e cui più roggia fiamma succia?».Ed elli a me: «Se tu vuo' ch'i' ti portilà giù per quella ripa che più giace,da lui saprai di sé e de' suoi torti».E io: «Tanto m'è bel, quanto a te piace:tu se' segnore, e sai ch'i' non mi partodal tuo volere, e sai quel che si tace».Allor venimmo in su l'argine quarto;volgemmo e discendemmo a mano stancalà giù nel fondo foracchiato e arto.Lo buon maestro ancor de la sua ancanon mi dipuose, sì mi giunse al rottodi quel che si piangeva con la zanca.«O qual che se' che 'l di sù tien di sotto,anima trista come pal commessa»,comincia' io a dir, «se puoi, fa motto».Io stava come 'l frate che confessalo perfido assessin, che, poi ch'è fitto,richiama lui per che la morte cessa.Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto,se' tu già costì ritto, Bonifazio?Di parecchi anni mi mentì lo scritto.Se' tu sì tosto di quell' aver sazioper lo qual non temesti tòrre a 'ngannola bella donna, e poi di farne strazio?».Tal mi fec' io, quai son color che stanno,per non intender ciò ch'è lor risposto,quasi scornati, e risponder non sanno.Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:«Non son colui, non son colui che credi»»;e io rispuosi come a me fu imposto.Per che lo spirto tutti storse i piedi;poi, sospirando e con voce di pianto,mi disse: «Dunque che a me richiedi?Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto,che tu abbi però la ripa corsa,sappi ch'i' fui vestito del gran manto;e veramente fui figliuol de l'orsa,cupido sì per avanzar li orsatti,che sù l'avere e qui me misi in borsa.Di sotto al capo mio son li altri trattiche precedetter me simoneggiando,per le fessure de la pietra piatti.Là giù cascherò io altresì quandoverrà colui ch'i' credea che tu fossi,allor ch'i' feci 'l sùbito dimando.Ma più è 'l tempo già che i piè mi cossie ch'i' son stato così sottosopra,ch'el non starà piantato coi piè rossi:ché dopo lui verrà di più laida opra,di ver' ponente, un pastor sanza legge,tal che convien che lui e me ricuopra.Nuovo Iasón sarà, di cui si leggene' Maccabei; e come a quel fu mollesuo re, così fia lui chi Francia regge».Io non so s'i' mi fui qui troppo folle,ch'i' pur rispuosi lui a questo metro:«Deh, or mi dì: quanto tesoro volleNostro Segnore in prima da san Pietroch'ei ponesse le chiavi in sua balìa?Certo non chiese se non «Viemmi retro».Né Pier né li altri tolsero a Matiaoro od argento, quando fu sortitoal loco che perdé l'anima ria.Però ti sta, ché tu se' ben punito;e guarda ben la mal tolta monetach'esser ti fece contra Carlo ardito.E se non fosse ch'ancor lo mi vietala reverenza de le somme chiaviche tu tenesti ne la vita lieta,io userei parole ancor più gravi;ché la vostra avarizia il mondo attrista,calcando i buoni e sollevando i pravi.Di voi pastor s'accorse il Vangelista,quando colei che siede sopra l'acqueputtaneggiar coi regi a lui fu vista;quella che con le sette teste nacque,e da le diece corna ebbe argomento,fin che virtute al suo marito piacque.Fatto v'avete dio d'oro e d'argento;e che altro è da voi a l'idolatre,se non ch'elli uno, e voi ne orate cento?Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,non la tua conversion, ma quella doteche da te prese il primo ricco patre!».E mentr' io li cantava cotai note,o ira o coscïenza che 'l mordesse,forte spingava con ambo le piote.I' credo ben ch'al mio duca piacesse,con sì contenta labbia sempre atteselo suon de le parole vere espresse.Però con ambo le braccia mi prese;e poi che tutto su mi s'ebbe al petto,rimontò per la via onde discese.Né si stancò d'avermi a sé distretto,sì men portò sovra 'l colmo de l'arcoche dal quarto al quinto argine è tragetto.Quivi soavemente spuose il carco,soave per lo scoglio sconcio ed ertoche sarebbe a le capre duro varco.Indi un altro vallon mi fu scoperto. |