Silvio Pellico
1789 - 1854
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Le mie prigioni
1832
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Capo LXVII.
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L'INCOMODO della catena a' piedi, togliendomi di dormire, contribuiva a rovinarmi la salute. Schiller voleva ch'io riclamassi, e pretendeva che il medico fosse in dovere di farmela levare.Per un poco non l'ascoltai, poi cedetti al consiglio, e dissi al medico, che per riacquistare il beneficio del sonno, io lo pregava di farmi scatenare, almeno per alcuni giorni.Il medico disse, non giungere ancora a tal grado le mie febbri, ch'ei potesse appagarmi; ed essere necessario, ch'io m'avvezzassi ai ferri.La risposta mi sdegnò, ed ebbi rabbia d'aver fatto quell'inutile dimanda.– Ecco ciò che guadagnai a seguire il vostro insistente consiglio, dissi a Schiller. –Conviene che gli dicessi queste parole assai sgarbatamente: quel ruvido buon uomo se ne offese.– A lei spiace, gridò, d'essersi esposta ad un rifiuto, e a me spiace ch'ella sia meco superba! – [232]Poi continuò una lunga predica: – I superbi fanno consistere la loro grandezza in non esporsi a rifiuti, in non accettare offerte, in vergognare di mille inezie. Alle Eseleyen! tutte asinate! vana grandezza! ignoranza della vera dignità! E la vera dignità sta, in gran parte, in vergognare soltanto delle male azioni! –Disse, uscì, e fece un fracasso infernale colle chiavi.Rimasi sbalordito. – Eppure quella rozza schiettezza, dissi, mi piace. Sgorga dal cuore come le sue offerte, come i suoi consigli, come il suo compianto. E non mi predicò egli il vero? A quante debolezze non do io il nome di dignità, mentre non sono altro che superbia? –All'ora di pranzo, Schiller lasciò che il condannato Kunda portasse dentro i pentolini e l'acqua, e si fermò sulla porta. Lo chiamai.– Non ho tempo, – rispose asciutto asciutto.Discesi dal tavolaccio, venni a lui, e gli dissi: – Se volete che il mangiare mi faccia buon pro', non mi fate quel brutto ceffo.– E qual ceffo ho a fare? dimandò, rasserenandosi.– D'uomo allegro, d'amico, risposi. [233]– Viva l'allegria! sclamò. E se, perché il mangiare le faccia buon pro, vuole anche vedermi ballare, eccola servita. –E misesi a sgambettare colle sue magre e lunghe pertiche sì piacevolmente, che scoppiai dalle risa. Io ridea, ed avea il cuore commosso. |