Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto X
Canto X, nel quale santo Tommaso d'Aquino de l'ordine de' Frati Predicatori parla nel cielo del Sole; e qui comincia la quarta parte.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 10 (disegno, 1485/90)
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Guardando nel suo Figlio con l'Amoreche l'uno e l'altro etternalmente spira,lo primo e ineffabile Valorequanto per mente e per loco si giracon tant' ordine fé, ch'esser non puotesanza gustar di lui chi ciò rimira.Leva dunque, lettore, a l'alte rotemeco la vista, dritto a quella partedove l'un moto e l'altro si percuote;e lì comincia a vagheggiar ne l'artedi quel maestro che dentro a sé l'ama,tanto che mai da lei l'occhio non parte.Vedi come da indi si diramal'oblico cerchio che i pianeti porta,per sodisfare al mondo che li chiama.Che se la strada lor non fosse torta,molta virtù nel ciel sarebbe in vano,e quasi ogne potenza qua giù morta;e se dal dritto più o men lontanofosse 'l partire, assai sarebbe mancoe giù e sù de l'ordine mondano.Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,dietro pensando a ciò che si preliba,s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;ché a sé torce tutta la mia curaquella materia ond' io son fatto scriba.Lo ministro maggior de la natura,che del valor del ciel lo mondo imprentae col suo lume il tempo ne misura,con quella parte che sù si rammentacongiunto, si girava per le spirein che più tosto ognora s'appresenta;e io era con lui; ma del salirenon m'accors' io, se non com' uom s'accorge,anzi 'l primo pensier, del suo venire.È Bëatrice quella che sì scorgedi bene in meglio, sì subitamenteche l'atto suo per tempo non si sporge.Quant' esser convenia da sé lucentequel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,non per color, ma per lume parvente!Perch' io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,sì nol direi che mai s'imaginasse;ma creder puossi e di veder si brami.E se le fantasie nostre son bassea tanta altezza, non è maraviglia;ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.Tal era quivi la quarta famigliade l'alto Padre, che sempre la sazia,mostrando come spira e come figlia.E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questosensibil t'ha levato per sua grazia».Cor di mortal non fu mai sì digestoa divozione e a rendersi a Diocon tutto 'l suo gradir cotanto presto,come a quelle parole mi fec' io;e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,che Bëatrice eclissò ne l'oblio.Non le dispiacque; ma sì se ne rise,che lo splendor de li occhi suoi ridentimia mente unita in più cose divise.Io vidi più folgór vivi e vincentifar di noi centro e di sé far corona,più dolci in voce che in vista lucenti:così cinger la figlia di Latonavedem talvolta, quando l'aere è pregno,sì che ritenga il fil che fa la zona.Ne la corte del cielo, ond' io rivegno,si trovan molte gioie care e belletanto che non si posson trar del regno;e 'l canto di quei lumi era di quelle;chi non s'impenna sì che là sù voli,dal muto aspetti quindi le novelle.Poi, sì cantando, quelli ardenti solisi fuor girati intorno a noi tre volte,come stelle vicine a' fermi poli,donne mi parver, non da ballo sciolte,ma che s'arrestin tacite, ascoltandofin che le nove note hanno ricolte.E dentro a l'un senti' cominciar: «Quandolo raggio de la grazia, onde s'accendeverace amore e che poi cresce amando,multiplicato in te tanto resplende,che ti conduce su per quella scalau' sanza risalir nessun discende;qual ti negasse il vin de la sua fialaper la tua sete, in libertà non forase non com' acqua ch'al mar non si cala.Tu vuo' saper di quai piante s'infioraquesta ghirlanda che 'ntorno vagheggiala bella donna ch'al ciel t'avvalora.Io fui de li agni de la santa greggiache Domenico mena per camminou' ben s'impingua se non si vaneggia.Questi che m'è a destra più vicino,frate e maestro fummi, ed esso Albertoè di Cologna, e io Thomas d'Aquino.Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,di retro al mio parlar ten vien col visogirando su per lo beato serto.Quell' altro fiammeggiare esce del risodi Grazïan, che l'uno e l'altro foroaiutò sì che piace in paradiso.L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,quel Pietro fu che con la poverellaofferse a Santa Chiesa suo tesoro.La quinta luce, ch'è tra noi più bella,spira di tale amor, che tutto 'l mondolà giù ne gola di saper novella:entro v'è l'alta mente u' sì profondosaver fu messo, che, se 'l vero è vero,a veder tanto non surse il secondo.Appresso vedi il lume di quel ceroche giù in carne più a dentro videl'angelica natura e 'l ministero.Ne l'altra piccioletta luce ridequello avvocato de' tempi cristianidel cui latino Augustin si provide.Or se tu l'occhio de la mente tranidi luce in luce dietro a le mie lode,già de l'ottava con sete rimani.Per vedere ogne ben dentro vi godel'anima santa che 'l mondo fallacefa manifesto a chi di lei ben ode.Lo corpo ond' ella fu cacciata giacegiuso in Cieldauro; ed essa da martiroe da essilio venne a questa pace.Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spirod'Isidoro, di Beda e di Riccardo,che a considerar fu più che viro.Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,è 'l lume d'uno spirto che 'n pensierigravi a morir li parve venir tardo:essa è la luce etterna di Sigieri,che, leggendo nel Vico de li Strami,silogizzò invidïosi veri».Indi, come orologio che ne chiamine l'ora che la sposa di Dio surgea mattinar lo sposo perché l'ami,che l'una parte e l'altra tira e urge,tin tin sonando con sì dolce nota,che 'l ben disposto spirto d'amor turge;così vid' ïo la gloriosa rotamuoversi e render voce a voce in temprae in dolcezza ch'esser non pò notase non colà dove gioir s'insempra. |