Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto III
Canto terzo, nel quale si tratta di quello medesimo cielo de la Luna e di certi spiriti che appariro in esso; e solve qui una questione: cioè se li spiriti che sono in cielo di sotto vorrebbero esser più sù ch'elli siano.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 3 (disegno, 1485/90)
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Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto,di bella verità m'avea scoverto,provando e riprovando, il dolce aspetto;e io, per confessar corretto e certome stesso, tanto quanto si convenneleva' il capo a proferer più erto;ma visïone apparve che ritennea sé me tanto stretto, per vedersi,che di mia confession non mi sovvenne.Quali per vetri trasparenti e tersi,o ver per acque nitide e tranquille,non sì profonde che i fondi sien persi,tornan d'i nostri visi le postilledebili sì, che perla in bianca frontenon vien men forte a le nostre pupille;tali vid' io più facce a parlar pronte;per ch'io dentro a l'error contrario corsia quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte.Sùbito sì com' io di lor m'accorsi,quelle stimando specchiati sembianti,per veder di cui fosser, li occhi torsi;e nulla vidi, e ritorsili avantidritti nel lume de la dolce guida,che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.«Non ti maravigliar perch' io sorrida»,mi disse, «appresso il tuo püeril coto,poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida,ma te rivolve, come suole, a vòto:vere sustanze son ciò che tu vedi,qui rilegate per manco di voto.Però parla con esse e odi e credi;ché la verace luce che le appagada sé non lascia lor torcer li piedi».E io a l'ombra che parea più vagadi ragionar, drizza'mi, e cominciai,quasi com' uom cui troppa voglia smaga:«O ben creato spirito, che a' raidi vita etterna la dolcezza sentiche, non gustata, non s'intende mai,grazïoso mi fia se mi contentidel nome tuo e de la vostra sorte».Ond' ella, pronta e con occhi ridenti:«La nostra carità non serra portea giusta voglia, se non come quellache vuol simile a sé tutta sua corte.I' fui nel mondo vergine sorella;e se la mente tua ben sé riguarda,non mi ti celerà l'esser più bella,ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,che, posta qui con questi altri beati,beata sono in la spera più tarda.Li nostri affetti, che solo infiammatison nel piacer de lo Spirito Santo,letizian del suo ordine formati.E questa sorte che par giù cotanto,però n'è data, perché fuor neglettili nostri voti, e vòti in alcun canto».Ond' io a lei: «Ne' mirabili aspettivostri risplende non so che divinoche vi trasmuta da' primi concetti:però non fui a rimembrar festino;ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,sì che raffigurar m'è più latino.Ma dimmi: voi che siete qui felici,disiderate voi più alto locoper più vedere e per più farvi amici?».Con quelle altr' ombre pria sorrise un poco;da indi mi rispuose tanto lieta,ch'arder parea d'amor nel primo foco:«Frate, la nostra volontà quïetavirtù di carità, che fa volernesol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.Se disïassimo esser più superne,foran discordi li nostri disiridal voler di colui che qui ne cerne;che vedrai non capere in questi giri,s'essere in carità è qui necesse,e se la sua natura ben rimiri.Anzi è formale ad esto beato essetenersi dentro a la divina voglia,per ch'una fansi nostre voglie stesse;sì che, come noi sem di soglia in sogliaper questo regno, a tutto il regno piacecom' a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia.E 'n la sua volontade è nostra pace:ell' è quel mare al qual tutto si moveciò ch'ella crïa o che natura face».Chiaro mi fu allor come ogne dovein cielo è paradiso, etsi la graziadel sommo ben d'un modo non vi piove.Ma sì com' elli avvien, s'un cibo saziae d'un altro rimane ancor la gola,che quel si chere e di quel si ringrazia,così fec' io con atto e con parola,per apprender da lei qual fu la telaonde non trasse infino a co la spuola.«Perfetta vita e alto merto incieladonna più sù», mi disse, «a la cui normanel vostro mondo giù si veste e vela,perché fino al morir si vegghi e dormacon quello sposo ch'ogne voto accettache caritate a suo piacer conforma.Dal mondo, per seguirla, giovinettafuggi'mi, e nel suo abito mi chiusie promisi la via de la sua setta.Uomini poi, a mal più ch'a bene usi,fuor mi rapiron de la dolce chiostra:Iddio si sa qual poi mia vita fusi.E quest' altro splendor che ti si mostrada la mia destra parte e che s'accendedi tutto il lume de la spera nostra,ciò ch'io dico di me, di sé intende;sorella fu, e così le fu toltadi capo l'ombra de le sacre bende.Ma poi che pur al mondo fu rivoltacontra suo grado e contra buona usanza,non fu dal vel del cor già mai disciolta.Quest' è la luce de la gran Costanzache del secondo vento di Soavegenerò 'l terzo e l'ultima possanza».Così parlommi, e poi cominciò Ave,Maria cantando, e cantando vaniocome per acqua cupa cosa grave.La vista mia, che tanto lei seguioquanto possibil fu, poi che la perse,volsesi al segno di maggior disio,e a Beatrice tutta si converse;ma quella folgorò nel mïo sguardosì che da prima il viso non sofferse;e ciò mi fece a dimandar più tardo. |