Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto XXVIII
Canto XXVIII, ove si tratta come la vita attiva distingue a l'auttore la natura del fiume di Letè, il quale trovò nel detto Paradiso, ove molto dimostra de la felicitade e del peccato di Adamo, e del modo e ordine del detto luogo.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 28 (disegno, 1485/90)
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Vago già di cercar dentro e dintornola divina foresta spessa e viva,ch'a li occhi temperava il novo giorno,sanza più aspettar, lasciai la riva,prendendo la campagna lento lentosu per lo suol che d'ogne parte auliva.Un'aura dolce, sanza mutamentoavere in sé, mi feria per la frontenon di più colpo che soave vento;per cui le fronde, tremolando, prontetutte quante piegavano a la parteu' la prim' ombra gitta il santo monte;non però dal loro esser dritto spartetanto, che li augelletti per le cimelasciasser d'operare ogne lor arte;ma con piena letizia l'ore prime,cantando, ricevieno intra le foglie,che tenevan bordone a le sue rime,tal qual di ramo in ramo si raccoglieper la pineta in su 'l lito di Chiassi,quand' Ëolo scilocco fuor discioglie.Già m'avean trasportato i lenti passidentro a la selva antica tanto, ch'ionon potea rivedere ond' io mi 'ntrassi;ed ecco più andar mi tolse un rio,che 'nver' sinistra con sue picciole ondepiegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.Tutte l'acque che son di qua più monde,parrieno avere in sé mistura alcunaverso di quella, che nulla nasconde,avvegna che si mova bruna brunasotto l'ombra perpetüa, che mairaggiar non lascia sole ivi né luna.Coi piè ristetti e con li occhi passaidi là dal fiumicello, per mirarela gran varïazion d'i freschi mai;e là m'apparve, sì com' elli apparesubitamente cosa che disviaper maraviglia tutto altro pensare,una donna soletta che si giae cantando e scegliendo fior da fioreond' era pinta tutta la sua via.«Deh, bella donna, che a' raggi d'amoreti scaldi, s'i' vo' credere a' sembiantiche soglion esser testimon del core,vegnati in voglia di trarreti avanti»,diss' io a lei, «verso questa rivera,tanto ch'io possa intender che tu canti.Tu mi fai rimembrar dove e qual eraProserpina nel tempo che perdettela madre lei, ed ella primavera».Come si volge, con le piante strettea terra e intra sé, donna che balli,e piede innanzi piede a pena mette,volsesi in su i vermigli e in su i giallifioretti verso me, non altrimentiche vergine che li occhi onesti avvalli;e fece i prieghi miei esser contenti,sì appressando sé, che 'l dolce suonoveniva a me co' suoi intendimenti.Tosto che fu là dove l'erbe sonobagnate già da l'onde del bel fiume,di levar li occhi suoi mi fece dono.Non credo che splendesse tanto lumesotto le ciglia a Venere, trafittadal figlio fuor di tutto suo costume.Ella ridea da l'altra riva dritta,trattando più color con le sue mani,che l'alta terra sanza seme gitta.Tre passi ci facea il fiume lontani;ma Elesponto, là 've passò Serse,ancora freno a tutti orgogli umani,più odio da Leandro non sofferseper mareggiare intra Sesto e Abido,che quel da me perch' allor non s'aperse.«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido»,cominciò ella, «in questo luogo elettoa l'umana natura per suo nido,maravigliando tienvi alcun sospetto;ma luce rende il salmo Delectasti,che puote disnebbiar vostro intelletto.E tu che se' dinanzi e mi pregasti,dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni prestaad ogne tua question tanto che basti».«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la forestaimpugnan dentro a me novella fededi cosa ch'io udi' contraria a questa».Ond' ella: «Io dicerò come procedeper sua cagion ciò ch'ammirar ti face,e purgherò la nebbia che ti fiede.Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,fé l'uom buono e a bene, e questo locodiede per arr' a lui d'etterna pace.Per sua difalta qui dimorò poco;per sua difalta in pianto e in affannocambiò onesto riso e dolce gioco.Perché 'l turbar che sotto da sé fannol'essalazion de l'acqua e de la terra,che quanto posson dietro al calor vanno,a l'uomo non facesse alcuna guerra,questo monte salìo verso 'l ciel tanto,e libero n'è d'indi ove si serra.Or perché in circuito tutto quantol'aere si volge con la prima volta,se non li è rotto il cerchio d'alcun canto,in questa altezza ch'è tutta discioltane l'aere vivo, tal moto percuote,e fa sonar la selva perch' è folta;e la percossa pianta tanto puote,che de la sua virtute l'aura impregnae quella poi, girando, intorno scuote;e l'altra terra, secondo ch'è degnaper sé e per suo ciel, concepe e figliadi diverse virtù diverse legna.Non parrebbe di là poi maraviglia,udito questo, quando alcuna piantasanza seme palese vi s'appiglia.E saper dei che la campagna santadove tu se', d'ogne semenza è piena,e frutto ha in sé che di là non si schianta.L'acqua che vedi non surge di venache ristori vapor che gel converta,come fiume ch'acquista e perde lena;ma esce di fontana salda e certa,che tanto dal voler di Dio riprende,quant' ella versa da due parti aperta.Da questa parte con virtù discendeche toglie altrui memoria del peccato;da l'altra d'ogne ben fatto la rende.Quinci Letè; così da l'altro latoEünoè si chiama, e non adoprase quinci e quindi pria non è gustato:a tutti altri sapori esto è di sopra.E avvegna ch'assai possa esser saziala sete tua perch' io più non ti scuopra,darotti un corollario ancor per grazia;né credo che 'l mio dir ti sia men caro,se oltre promession teco si spazia.Quelli ch'anticamente poetarol'età de l'oro e suo stato felice,forse in Parnaso esto loco sognaro.Qui fu innocente l'umana radice;qui primavera sempre e ogne frutto;nettare è questo di che ciascun dice».Io mi rivolsi 'n dietro allora tuttoa' miei poeti, e vidi che con risoudito avëan l'ultimo costrutto;poi a la bella donna torna' il viso. |