Dante Alighieri
1265 - 1321
|
La Divina commedia
Purgatorio
|
______________________________________________________________________________
|
|
|
Canto XVI
Canto XVI, dove si tratta del sopradetto terzo girone e del purgare la detta colpa de l'ira; e qui Marco Lombardo solve uno dubbio a Dante.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 16 (disegno, 1485/90)
|
369121518212427303336394245485154576063666972757881848790939699102105108111114117120123126129132135138141144 |
Buio d'inferno e di notte privatad'ogne pianeto, sotto pover cielo,quant' esser può di nuvol tenebrata,non fece al viso mio sì grosso velocome quel fummo ch'ivi ci coperse,né a sentir di così aspro pelo,che l'occhio stare aperto non sofferse;onde la scorta mia saputa e fidami s'accostò e l'omero m'offerse.Sì come cieco va dietro a sua guidaper non smarrirsi e per non dar di cozzoin cosa che 'l molesti, o forse ancida,m'andava io per l'aere amaro e sozzo,ascoltando il mio duca che dicevapur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».Io sentia voci, e ciascuna parevapregar per pace e per misericordial'Agnel di Dio che le peccata leva.Pur Agnus Dei eran le loro essordia;una parola in tutte era e un modo,sì che parea tra esse ogne concordia.«Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?»,diss' io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,e d'iracundia van solvendo il nodo».«Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi,e di noi parli pur come se tuepartissi ancor lo tempo per calendi?».Così per una voce detto fue;onde 'l maestro mio disse: «Rispondi,e domanda se quinci si va sùe».E io: «O creatura che ti mondiper tornar bella a colui che ti fece,maraviglia udirai, se mi secondi».«Io ti seguiterò quanto mi lece»,rispuose; «e se veder fummo non lascia,l'udir ci terrà giunti in quella vece».Allora incominciai: «Con quella fasciache la morte dissolve men vo suso,e venni qui per l'infernale ambascia.E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,tanto che vuol ch'i' veggia la sua corteper modo tutto fuor del moderno uso,non mi celar chi fosti anzi la morte,ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco;e tue parole fier le nostre scorte».«Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;del mondo seppi, e quel valore amaial quale ha or ciascun disteso l'arco.Per montar sù dirittamente vai».Così rispuose, e soggiunse: «I' ti pregoche per me prieghi quando sù sarai».E io a lui: «Per fede mi ti legodi far ciò che mi chiedi; ma io scoppiodentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.Prima era scempio, e ora è fatto doppione la sentenza tua, che mi fa certoqui, e altrove, quello ov' io l'accoppio.Lo mondo è ben così tutto disertod'ogne virtute, come tu mi sone,e di malizia gravido e coverto;ma priego che m'addite la cagione,sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui;ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.Voi che vivete ogne cagion recatepur suso al cielo, pur come se tuttomovesse seco di necessitate.Se così fosse, in voi fora distruttolibero arbitrio, e non fora giustiziaper ben letizia, e per male aver lutto.Lo cielo i vostri movimenti inizia;non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica,lume v'è dato a bene e a malizia,e libero voler; che, se faticane le prime battaglie col ciel dura,poi vince tutto, se ben si notrica.A maggior forza e a miglior naturaliberi soggiacete; e quella criala mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.Però, se 'l mondo presente disvia,in voi è la cagione, in voi si cheggia;e io te ne sarò or vera spia.Esce di mano a lui che la vagheggiaprima che sia, a guisa di fanciullache piangendo e ridendo pargoleggia,l'anima semplicetta che sa nulla,salvo che, mossa da lieto fattore,volontier torna a ciò che la trastulla.Di picciol bene in pria sente sapore;quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,se guida o fren non torce suo amore.Onde convenne legge per fren porre;convenne rege aver, che discernessede la vera cittade almen la torre.Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?Nullo, però che 'l pastor che procede,rugumar può, ma non ha l'unghie fesse;per che la gente, che sua guida vedepur a quel ben fedire ond' ella è ghiotta,di quel si pasce, e più oltre non chiede.Ben puoi veder che la mala condottaè la cagion che 'l mondo ha fatto reo,e non natura che 'n voi sia corrotta.Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,due soli aver, che l'una e l'altra stradafacean vedere, e del mondo e di Deo.L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spadacol pasturale, e l'un con l'altro insiemeper viva forza mal convien che vada;però che, giunti, l'un l'altro non teme:se non mi credi, pon mente a la spiga,ch'ogn' erba si conosce per lo seme.In sul paese ch'Adice e Po riga,solea valore e cortesia trovarsi,prima che Federigo avesse briga;or può sicuramente indi passarsiper qualunque lasciasse, per vergognadi ragionar coi buoni o d'appressarsi.Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampognal'antica età la nova, e par lor tardoche Dio a miglior vita li ripogna:Currado da Palazzo e 'l buon Gherardoe Guido da Castel, che mei si noma,francescamente, il semplice Lombardo.Dì oggimai che la Chiesa di Roma,per confondere in sé due reggimenti,cade nel fango, e sé brutta e la soma».«O Marco mio», diss' io, «bene argomenti;e or discerno perché dal retaggioli figli di Levì furono essenti.Ma qual Gherardo è quel che tu per saggiodi' ch'è rimaso de la gente spenta,in rimprovèro del secol selvaggio?».«O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta»,rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,par che del buon Gherardo nulla senta.Per altro sopranome io nol conosco,s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.Vedi l'albor che per lo fummo raiagià biancheggiare, e me convien partirmi(l'angelo è ivi) prima ch'io li paia».Così tornò, e più non volle udirmi. |