Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto V
Canto V, ove si tratta de la terza qualitade, cioè di coloro che per cagione di vendicarsi d'alcuna ingiuria insino a la morte mettono in non calere di riconoscere sé esser peccatori e soddisfare a Dio; de li quali nomina in persona messer Iacopo di Fano e Bonconte di Montefeltro.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 5 (disegno, 1485/90)
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Io era già da quell' ombre partito,e seguitava l'orme del mio duca,quando di retro a me, drizzando 'l dito,una gridò: «Ve' che non par che lucalo raggio da sinistra a quel di sotto,e come vivo par che si conduca!».Li occhi rivolsi al suon di questo motto,e vidile guardar per maravigliapur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.«Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,disse 'l maestro, «che l'andare allenti?che ti fa ciò che quivi si pispiglia?Vien dietro a me, e lascia dir le genti:sta come torre ferma, che non crollagià mai la cima per soffiar di venti;ché sempre l'omo in cui pensier rampollasovra pensier, da sé dilunga il segno,perché la foga l'un de l'altro insolla».Che potea io ridir, se non «Io vegno»?Dissilo, alquanto del color conspersoche fa l'uom di perdon talvolta degno.E 'ntanto per la costa di traversovenivan genti innanzi a noi un poco,cantando Miserere a verso a verso.Quando s'accorser ch'i' non dava locoper lo mio corpo al trapassar d'i raggi,mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;e due di loro, in forma di messaggi,corsero incontr' a noi e dimandarne:«Di vostra condizion fatene saggi».E 'l mio maestro: «Voi potete andarnee ritrarre a color che vi mandaroche 'l corpo di costui è vera carne.Se per veder la sua ombra restaro,com' io avviso, assai è lor risposto:fàccianli onore, ed esser può lor caro».Vapori accesi non vid' io sì tostodi prima notte mai fender sereno,né, sol calando, nuvole d'agosto,che color non tornasser suso in meno;e, giunti là, con li altri a noi dier volta,come schiera che scorre sanza freno.«Questa gente che preme a noi è molta,e vegnonti a pregar», disse 'l poeta:«però pur va, e in andando ascolta».«O anima che vai per esser lietacon quelle membra con le quai nascesti»,venian gridando, «un poco il passo queta.Guarda s'alcun di noi unqua vedesti,sì che di lui di là novella porti:deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?Noi fummo tutti già per forza morti,e peccatori infino a l'ultima ora;quivi lume del ciel ne fece accorti,sì che, pentendo e perdonando, foradi vita uscimmo a Dio pacificati,che del disio di sé veder n'accora».E io: «Perché ne' vostri visi guati,non riconosco alcun; ma s'a voi piacecosa ch'io possa, spiriti ben nati,voi dite, e io farò per quella paceche, dietro a' piedi di sì fatta guida,di mondo in mondo cercar mi si face».E uno incominciò: «Ciascun si fidadel beneficio tuo sanza giurarlo,pur che 'l voler nonpossa non ricida.Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo,ti priego, se mai vedi quel paeseche siede tra Romagna e quel di Carlo,che tu mi sie di tuoi prieghi cortesein Fano, sì che ben per me s'adoripur ch'i' possa purgar le gravi offese.Quindi fu' io; ma li profondi fóriond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,là dov' io più sicuro esser credea:quel da Esti il fé far, che m'avea in iraassai più là che dritto non volea.Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira,quando fu' sovragiunto ad Orïaco,ancor sarei di là dove si spira.Corsi al palude, e le cannucce e 'l bracom'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid' iode le mie vene farsi in terra laco».Poi disse un altro: «Deh, se quel disiosi compia che ti tragge a l'alto monte,con buona pïetate aiuta il mio!Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;Giovanna o altri non ha di me cura;per ch'io vo tra costor con bassa fronte».E io a lui: «Qual forza o qual venturati travïò sì fuor di Campaldino,che non si seppe mai tua sepultura?».«Oh!», rispuos' elli, «a piè del Casentinotraversa un'acqua c'ha nome l'Archiano,che sovra l'Ermo nasce in Apennino.Là 've 'l vocabol suo diventa vano,arriva' io forato ne la gola,fuggendo a piede e sanguinando il piano.Quivi perdei la vista e la parola;nel nome di Maria fini', e quivicaddi, e rimase la mia carne sola.Io dirò vero, e tu 'l ridì tra ' vivi:l'angel di Dio mi prese, e quel d'infernogridava: «O tu del ciel, perché mi privi?Tu te ne porti di costui l'etternoper una lagrimetta che 'l mi toglie;ma io farò de l'altro altro governo!».Ben sai come ne l'aere si raccogliequell' umido vapor che in acqua riede,tosto che sale dove 'l freddo il coglie.Giunse quel mal voler che pur mal chiedecon lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l ventoper la virtù che sua natura diede.Indi la valle, come 'l dì fu spento,da Pratomagno al gran giogo copersedi nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,sì che 'l pregno aere in acqua si converse;la pioggia cadde, e a' fossati vennedi lei ciò che la terra non sofferse;e come ai rivi grandi si convenne,ver' lo fiume real tanto velocesi ruinò, che nulla la ritenne.Lo corpo mio gelato in su la focetrovò l'Archian rubesto; e quel sospinsene l'Arno, e sciolse al mio petto la crocech'i' fe' di me quando 'l dolor mi vinse;voltòmmi per le ripe e per lo fondo,poi di sua preda mi coperse e cinse».«Deh, quando tu sarai tornato al mondoe riposato de la lunga via»,seguitò 'l terzo spirito al secondo,«ricorditi di me, che son la Pia;Siena mi fé, disfecemi Maremma:salsi colui che 'nnanellata priadisposando m'avea con la sua gemma». |