Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto IV
Canto IV, dove si tratta de la soprascritta seconda qualitade, dove si purga chi per negligenza di qui a la morte si tardòe a confessare; tra i quali si nomina il Belacqua, uomo di corte.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 4 (disegno, 1485/90)
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Quando per dilettanze o ver per doglie,che alcuna virtù nostra comprenda,l'anima bene ad essa si raccoglie,par ch'a nulla potenza più intenda;e questo è contra quello error che credech'un'anima sovr' altra in noi s'accenda.E però, quando s'ode cosa o vedeche tegna forte a sé l'anima volta,vassene 'l tempo e l'uom non se n'avvede;ch'altra potenza è quella che l'ascolta,e altra è quella c'ha l'anima intera:questa è quasi legata e quella è sciolta.Di ciò ebb' io esperïenza vera,udendo quello spirto e ammirando;ché ben cinquanta gradi salito eralo sole, e io non m'era accorto, quandovenimmo ove quell' anime ad unagridaro a noi: «Qui è vostro dimando».Maggiore aperta molte volte imprunacon una forcatella di sue spinel'uom de la villa quando l'uva imbruna,che non era la calla onde salìnelo duca mio, e io appresso, soli,come da noi la schiera si partìne.Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,montasi su in Bismantova e 'n Cacumecon esso i piè; ma qui convien ch'om voli;dico con l'ale snelle e con le piumedel gran disio, di retro a quel condottoche speranza mi dava e facea lume.Noi salavam per entro 'l sasso rotto,e d'ogne lato ne stringea lo stremo,e piedi e man volea il suol di sotto.Poi che noi fummo in su l'orlo suppremode l'alta ripa, a la scoperta piaggia,«Maestro mio», diss' io, «che via faremo?».Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;pur su al monte dietro a me acquista,fin che n'appaia alcuna scorta saggia».Lo sommo er' alto che vincea la vista,e la costa superba più assaiche da mezzo quadrante a centro lista.Io era lasso, quando cominciai:«O dolce padre, volgiti, e rimiracom' io rimango sol, se non restai».«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,additandomi un balzo poco in sùeche da quel lato il poggio tutto gira.Sì mi spronaron le parole sue,ch'i' mi sforzai carpando appresso lui,tanto che 'l cinghio sotto i piè mi fue.A seder ci ponemmo ivi ambeduivòlti a levante ond' eravam saliti,che suole a riguardar giovare altrui.Li occhi prima drizzai ai bassi liti;poscia li alzai al sole, e ammiravache da sinistra n'eravam feriti.Ben s'avvide il poeta ch'ïo stavastupido tutto al carro de la luce,ove tra noi e Aquilone intrava.Ond' elli a me: «Se Castore e Polucefossero in compagnia di quello specchioche sù e giù del suo lume conduce,tu vedresti il Zodïaco rubecchioancora a l'Orse più stretto rotare,se non uscisse fuor del cammin vecchio.Come ciò sia, se 'l vuoi poter pensare,dentro raccolto, imagina Sïòncon questo monte in su la terra staresì, ch'amendue hanno un solo orizzòne diversi emisperi; onde la stradache mal non seppe carreggiar Fetòn,vedrai come a costui convien che vadada l'un, quando a colui da l'altro fianco,se lo 'ntelletto tuo ben chiaro bada».«Certo, maestro mio,» diss' io, «unquanconon vid' io chiaro sì com' io discernolà dove mio ingegno parea manco,che 'l mezzo cerchio del moto superno,che si chiama Equatore in alcun' arte,e che sempre riman tra 'l sole e 'l verno,per la ragion che di', quinci si parteverso settentrïon, quanto li Ebreivedevan lui verso la calda parte.Ma se a te piace, volontier sapreiquanto avemo ad andar; ché 'l poggio salepiù che salir non posson li occhi miei».Ed elli a me: «Questa montagna è tale,che sempre al cominciar di sotto è grave;e quant' om più va sù, e men fa male.Però, quand' ella ti parrà soavetanto, che sù andar ti fia leggerocom' a seconda giù andar per nave,allor sarai al fin d'esto sentiero;quivi di riposar l'affanno aspetta.Più non rispondo, e questo so per vero».E com' elli ebbe sua parola detta,una voce di presso sonò: «Forseche di sedere in pria avrai distretta!».Al suon di lei ciascun di noi si torse,e vedemmo a mancina un gran petrone,del qual né io né ei prima s'accorse.Là ci traemmo; e ivi eran personeche si stavano a l'ombra dietro al sassocome l'uom per negghienza a star si pone.E un di lor, che mi sembiava lasso,sedeva e abbracciava le ginocchia,tenendo 'l viso giù tra esse basso.«O dolce segnor mio», diss' io, «adocchiacolui che mostra sé più negligenteche se pigrizia fosse sua serocchia».Allor si volse a noi e puose mente,movendo 'l viso pur su per la coscia,e disse: «Or va tu sù, che se' valente!».Conobbi allor chi era, e quella angosciache m'avacciava un poco ancor la lena,non m'impedì l'andare a lui; e posciach'a lui fu' giunto, alzò la testa a pena,dicendo: «Hai ben veduto come 'l soleda l'omero sinistro il carro mena?».Li atti suoi pigri e le corte parolemosser le labbra mie un poco a riso;poi cominciai: «Belacqua, a me non doledi te omai; ma dimmi: perché assisoquiritto se'? attendi tu iscorta,o pur lo modo usato t'ha' ripriso?».Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?ché non mi lascerebbe ire a' martìril'angel di Dio che siede in su la porta.Prima convien che tanto il ciel m'aggiridi fuor da essa, quanto fece in vita,per ch'io 'ndugiai al fine i buon sospiri,se orazïone in prima non m'aitache surga sù di cuor che in grazia viva;l'altra che val, che 'n ciel non è udita?».E già il poeta innanzi mi saliva,e dicea: «Vienne omai; vedi ch'è toccomeridïan dal sole e a la rivacuopre la notte già col piè Morrocco». |