Dante Alighieri
1265 - 1321
|
La Divina commedia
Inferno
|
______________________________________________________________________________
|
|
|
Canto XI
Canto undecimo, nel quale tratta de' tre cerchi disotto d'inferno, e distingue de le genti che dentro vi sono punite, e che quivi più che altrove; e solve una questione.
|
369121518212427303336394245485154576063666972757881848790939699102105108111114 |
In su l'estremità d'un'alta ripache facevan gran pietre rotte in cerchio,venimmo sopra più crudele stipa;e quivi, per l'orribile soperchiodel puzzo che 'l profondo abisso gitta,ci raccostammo, in dietro, ad un coperchiod'un grand' avello, ov' io vidi una scrittache dicea: Anastasio papa guardo,lo qual trasse Fotin de la via dritta.«Lo nostro scender conviene esser tardo,sì che s'ausi un poco in prima il sensoal tristo fiato; e poi no i fia riguardo».Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,dissi lui, «trova che 'l tempo non passiperduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,cominciò poi a dir, «son tre cerchiettidi grado in grado, come que' che lassi.Tutti son pien di spirti maladetti;ma perché poi ti basti pur la vista,intendi come e perché son costretti.D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotaleo con forza o con frode altrui contrista.Ma perché frode è de l'uom proprio male,più spiace a Dio; e però stan di sottoli frodolenti, e più dolor li assale.Di vïolenti il primo cerchio è tutto;ma perché si fa forza a tre persone,in tre gironi è distinto e costrutto.A Dio, a sé, al prossimo si pònefar forza, dico in loro e in lor cose,come udirai con aperta ragione.Morte per forza e ferute dogliosenel prossimo si danno, e nel suo avereruine, incendi e tollette dannose;onde omicide e ciascun che mal fiere,guastatori e predon, tutti tormentalo giron primo per diverse schiere.Puote omo avere in sé man vïolentae ne' suoi beni; e però nel secondogiron convien che sanza pro si pentaqualunque priva sé del vostro mondo,biscazza e fonde la sua facultade,e piange là dov' esser de' giocondo.Puossi far forza ne la deïtade,col cor negando e bestemmiando quella,e spregiando natura e sua bontade;e però lo minor giron suggelladel segno suo e Soddoma e Caorsae chi, spregiando Dio col cor, favella.La frode, ond' ogne coscïenza è morsa,può l'omo usare in colui che 'n lui fidae in quel che fidanza non imborsa.Questo modo di retro par ch'incidapur lo vinco d'amor che fa natura;onde nel cerchio secondo s'annidaipocresia, lusinghe e chi affattura,falsità, ladroneccio e simonia,ruffian, baratti e simile lordura.Per l'altro modo quell' amor s'obliache fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,di che la fede spezïal si cria;onde nel cerchio minore, ov' è 'l puntode l'universo in su che Dite siede,qualunque trade in etterno è consunto».E io: «Maestro, assai chiara procedela tua ragione, e assai ben distinguequesto baràtro e 'l popol ch'e' possiede.Ma dimmi: quei de la palude pingue,che mena il vento, e che batte la pioggia,e che s'incontran con sì aspre lingue,perché non dentro da la città roggiasono ei puniti, se Dio li ha in ira?e se non li ha, perché sono a tal foggia?».Ed elli a me «Perché tanto delira»,disse, «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?o ver la mente dove altrove mira?Non ti rimembra di quelle parolecon le quai la tua Etica pertrattale tre disposizion che 'l ciel non vole,incontenenza, malizia e la mattabestialitade? e come incontenenzamen Dio offende e men biasimo accatta?Se tu riguardi ben questa sentenza,e rechiti a la mente chi son quelliche sù di fuor sostegnon penitenza,tu vedrai ben perché da questi fellisien dipartiti, e perché men crucciatala divina vendetta li martelli».«O sol che sani ogne vista turbata,tu mi contenti sì quando tu solvi,che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,diss' io, «là dove di' ch'usura offendela divina bontade, e 'l groppo solvi».«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,nota, non pure in una sola parte,come natura lo suo corso prendedal divino 'ntelletto e da sua arte;e se tu ben la tua Fisica note,tu troverai, non dopo molte carte,che l'arte vostra quella, quanto pote,segue, come 'l maestro fa 'l discente;sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote.Da queste due, se tu ti rechi a mentelo Genesì dal principio, conveneprender sua vita e avanzar la gente;e perché l'usuriere altra via tene,per sé natura e per la sua seguacedispregia, poi ch'in altro pon la spene.Ma seguimi oramai che 'l gir mi piace;ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,e 'l balzo via là oltra si dismonta». |