Silvio Pellico
1789 - 1854
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Le mie prigioni
1832
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Capo LXX.
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GLI confidai la tremenda melanconia ch'io avea provato, diviso da lui; ed egli mi disse aver dovuto egualmente combattere il pensiero del suicidio.– Profittiamo, diceva egli, del poco tempo che di nuovo c'è dato, per confortarci a vicenda colla religione. Parliamo di Dio; eccitiamoci ad amarlo; ci sovvenga ch'egli è la giustizia, la sapienza, la bontà, la bellezza, ch'egli è tutto ciò che d'ottimo vagheggiammo sempre. Io ti dico davvero che la morte non è lontana da me. Ti sarò grato eternamente, se contribuirai a rendermi in questi ultimi giorni tanto religioso, quanto avrei dovuto essere tutta la vita. –Ed i nostri discorsi non volgeano più sovr'altro che sulla filosofia cristiana, e su paragoni di questa colle meschinità della sensualistica. Ambi esultavamo di scorgere tanta consonanza tra il Cristianesimo e la ragione; ambi nel confronto delle diverse comunioni evangeliche vedevamo, [242] essere la sola cattolica quella che può veramente resistere alla critica, e la dottrina della comunione cattolica consistere in dogmi purissimi ed in purissima morale, e non in miseri sovrappiù prodotti dall'umana ignoranza.– E se per accidente poco sperabile, ritornassimo nella società, diceva Oroboni, saremmo noi così pusillanimi da non confessare il Vangelo? da prenderci soggezione, se alcuno immaginerà che la prigione abbia indebolito i nostri animi, e che per imbecillità siamo divenuti più fermi nella credenza?– Oroboni mio, gli dissi, la tua dimanda mi svela la tua risposta, e questa è anche la mia. La somma delle viltà è d'esser schiavo de' giudizi altrui, quando hassi la persuasione che sono falsi. Non credo che tal viltà, né tu, né io l'avremmo mai. –In quelle effusioni di cuore, commisi una colpa. Io aveva giurato a Giuliano di non confidar mai ad alcuno, palesando il suo vero nome, le relazioni ch'erano state fra noi. Le narrai ad Oroboni, dicendogli: – Nel mondo non mi sfuggirebbe mai del labbro cosa simile, ma qui siamo nel sepolcro, e se anche tu ne uscissi, so che posso fidarmi di te. [243]Quell'onestissim'anima taceva.– Perchè non mi rispondi? gli dissi. –Alfine prese a biasimarmi seriamente della violazione del secreto. Il suo rimprovero era giusto. Niuna amicizia, per quanto intima ella sia, per quanto fortificata da virtù, non può autorizzare a tal violazione.Ma poichè questa mia colpa era avvenuta, Oroboni me ne derivò un bene. Egli avea conosciuto Giuliano, e sapea parecchi tratti onorevoli della sua vita. Me li raccontò, e dicea: – Quell'uomo ha operato sì spesso da cristiano, che non può portare il suo furore anti-religioso fino alla tomba. Speriamo, speriamo così! E tu bada, Silvio, a perdonargli di cuore i suoi mali umori, e prega per lui! –Le sue parole m'erano sacre. |