Silvio Pellico
1789 - 1854
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Le mie prigioni
1832
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Capo V.
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SE Tirola, colla sua espressione di bontà, non avesse anche avuto quegli sguardi così furbi, se fosse stata una fisionomia più nobile, io avrei ceduto alla tentazione di farlo mio ambasciatore, e forse un mio viglietto giunto a tempo all'amico gli avrebbe data la forza di riparare qualche sbaglio, - e forse ciò salvava, non lui, poveretto, che già troppo era scoperto, ma parecchi altri e me!Pazienza! doveva andar così.Fui chiamato alla continuazione dell'interrogatorio, e ciò durò tutto quel giorno, e parecchi altri, con nessun altro intervallo che quello de' pranzi.Finchè il processo non si chiuse, i giorni volavano rapidi per me, cotanto era l'esercizio della mente in quell'interminabile rispondere a sì varie dimande, e nel raccogliermi, alle ore di pranzo ed a sera, per riflettere a tutto ciò che mi s'era chiesto e ch'io aveva risposto, ed [14] a tutto ciò, su cui probabilmente sarei ancora interrogato.Alla fine della prima settimana m'accadde un gran dispiacere. Il mio povero Piero, bramoso, quanto lo era io, che potessimo metterci in comunicazione, mi mandò un viglietto, e si servì, non d'alcuno de'secondini, ma d'un disgraziato prigioniero, che veniva con essi a fare qualche servigio nelle nostre stanze. Era questi un uomo dai sessanta ai settant'anni, condannato a non so quanti mesi di detenzione.Con una spilla ch'io aveva, mi forai un dito, e feci col sangue poche linee di risposta, che rimisi al messaggero. Egli ebbe la mala ventura d'essere spiato, frugato, colto col viglietto addosso, e, se non erro, bastonato. Intesi alte urla che mi parvero del misero vecchio, e nol rividi mai più.
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