Trattato dell'arte della seta
1489
Elementi della calligrafia
Tavola I
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Avvertenza.
L'antico Trattato sopra l'arte della seta che forma la prima parte del nostro volume non era rimasto ignoto fino ad oggi agli eruditi, che forse non ne pregiarono tutta l' importanza; soliti andar dietro più spesso alla autorità dei nomi, che al merito reale delle scritture. E perciò quel Trattato era rimasto inedito, se ne togli qualche capitolo, dato in luce dal Pagnini nella sua Decima.Ma i molti Codici che lo contengono non potevano sfuggire agli occhi intelligenti dei vari illustratori di manoscritti: e il Bandini, il Lami, il Morelli, ed anche il Marsand, non senza cura ne parlarono e ne dettero notizie se non sempre esatte, almeno tali da potere invogliare altri ad occuparsene più seriamente. E perciò tra tanti pubblicatori di cose inedite, sia che esse appartengano agli studi storici o a quelli della lingua, non uno essendo ancora venuto a darci [VI] stampato e illustrato l'antico opuscolo dell'arte della seta, io mi credo scusato di essermene fatto pubblicatore primo e primo illustratore, secondo le mie povere forze.E tale pubblicazione m'è riuscita con intendimenti diversi da quelli con che si stampano generalmente siffatte scritture, giacchè non tanto a mostrare qual fosse l'arte della seta nei migliori tempi del suo fiorire, e quale la purissima lingua de' nostri antichi setaioli; quanto a far paragone tra quell' arte e quella lingua, e l'arte e la lingua che i nostri tessitori fiorentini conservano oggi dopo cinque secoli, ho formato il presente volume quasi in due parti diviso. La prima delle quali, come già dissi, è il testo dell'antico Trattato; e la seconda consiste in alcuni Dialoghi, che ebbero luogo tra due giovani eruditi e tra vari popolani addetti all'arte della seta, tutti pretti fiorentini.E questi Dialoghi, ne' quali oltre la illustrazione del Trattato antico si trova tracciata la storia dell'arte in Firenze, e il suo presente stato, pur troppo scadente, sono seguito ai saggi sopra il parlare degli artigiani fiorentini che già pubblicai: ed hanno un fine a quelli comune, cioè il dimostrare tuttora viva e fiorente la nostra lingua; lingua che conserva la sua freschezza, il suo brio, la sua spigliatezza, e che sa dare ad ogni cosa la forma dei nostri maggiori, ad ogni parola, ad ogni modo e 'l suono e il colore popolano e nativo; lingua [VII] che è espressione vera del popolo nostro, e della nostra civiltà, e merita bene esser posta al disopra de' dialetti, appunto perchè è fondamento alla lingua letteraria d'Italia.A me non conviene ora spiegare tutte le questioni circa la lingua, messe innanzi negli ultimi tempi, ma voglio essere con tutti i miei lettori concorde nel credere alla necessità, che la lingua italiana non si consideri come morta nel Vocabolario della Crusca. Essa anzi vive e vivrà col nostro popolo, e con lui sa modificarsi, camminare, accrescersi e anche creare.Dalle cose sopraccennate ognuno potrà veder meglio quale intendimento abbia la mia pubblicazione. E qui mi sia permesso di descrivere brevemente i manoscritti, de'quali mi sono servito per la stampa dell'antico Trattato.In Firenze abbiamo sette Codici cartacei dell' opuscolo dell'arte, o sopra l' arte della seta.La Biblioteca Riccardiana ne ha tre:Il primo Manoscritto (forse il più completo d'ogn'altro) è quello segnato del n° 2580, in 4°: comincia col prologo e ha due sole figure, a pag. 4 la prima, e a pag. 6 la seconda: le quali stanno a rappresentare lo incannare della seta, e il /i>lavorare la seta alla caviglia. Le altre figure non seguitano, ma di tanto in tanto vi si trovano carte bianche, le quali non furono disegnate o colorate. [VIII]Il secondo Codice ha il n° 2412, in 4o; con prologo, come il primo, se non che termina con qualche variazione. A carte 62 ha la data del 1453, che è pur quella del primo manoscritto. Le carte sono 69 scritte e tre bianche in fine.E il terzo Codice è registrato del n° 2558, in folio piccolo. Non ha prologo, le carte sono 40, e molto bella ne è la scrittura.Viene poi il Magliabechiano di no 60, classe XIX, in folio. Ha carte 86 scritte, e due bianche in fine. I capitoli non sono numerati, e bello è il prologo.Il Codice Palatino è segnato del no 567, in 4o. Ha carte 97 scritte, e una bianca in fine. La carta 56 è senza numerazione, e un'altra carta bianca da ultimo fu tolta. E così il volume doveva essere di carte 100; nè manca il prologo.Il Laurenziano porta il no 117, Pluteo 89 sup. in fol. piccolo. Le carte sono LX numerate, e due bianche in fine: manca la LVII che forse era bianca. Non ha prologo, e vi sono 47 figure, inferiori di molto a quelle due del primo Riccardiano.Il Codice Strozziano, nella Laurenziana, ha il no 181 in 8° grande. Manca del prologo, e le carte sono 48, comprese le prime due contenenti l'indice de capitoli, e due bianche, le quali precedono la materia del li-bro. E i capitoli sono 49.Nel pubblicare il Trattato abbiamo seguito il primo [IX] Codice Riccardiano, tenendo però a riscontro gli altri, e specialmente il Magliabechiano che ci ha dato non poche varianti.Ma oltre i Manoscritti fiorentini, ve ne sono altri due, cioè uno della Marciana, e l'altro della Biblioteca Parigina.Il Codice Veneto è del secolo XVI, in 4', di carte 74 non numerate. Il Morelli, a pag. 32, del Catalogo della Naniana lo riferì erroneamente al secolo XV. Ha il prologo, ma non contiene alcuna figura. I capitoli sono 54, e il Bibliotecario signor Giovanni Veludo crede che quel manoscritto manchi di alcune carte, e l'ultima recto, intitolata dell'anno 1517 ha le parole molto svanite.Il Codice Parigino della Biblioteca Imperiale, ora è segnato del n° 916, classe Italiana. Da diversi facsimili e da vari capitoli che mi sono procurati, riconosco bene la lettera fiorentina, e a carte 114 verso v'è l'anno MCCCCLXXX, e poi a carte 150 verso si legge l'anno MCCCCLXXXLI.Ma fra tanti Codici di una medesima opera chi potrà dire qual ne sia il manoscritto originale ?Io non credo poter rispondere a tale domanda con sicurezza. Tuttavia mi sia permesso di emettere un dubbio, che cioè tutti questi Codici da me veduti, o de quali ebbi notizia, e che ho brevemente descritti di sopra, non siano altro che copie di una [X] scrittura più antica, andata perduta. Nè è dato pure sospettare il tempo preciso di quella composizione, che a me parrebbe non strano il dichiarare degli ultimi anni del secolo XIV o de' primi del XV.Nè fa meraviglia il trovare a que' tempi tra i setaioli fiorentini uno che descriva con tanta proprietà, e dirò anche con tanta eleganza gli usi dell'arte loro, se consideriamo come alle arti nostre appartenessero i più grandi scrittori dei secoli XIII, XIV e XV. E se pensiamo che un setaiolo, Goro Dati, tra le noie della bottega e le cure di stato scriveva in sul finire del trecento una Cronaca e altre opere che sono giunte sino a noi; mentre un secolo prima si matricolava alla nostr' Arte Dino Compagni. 1)
―――――――― 1) Guido, et Dinus Compagni, furono matricolati all'Arte di Por Santa Maria l'anno 1286: convento di Kalimala Superiore. Vedi Archivio di Stato. MATRICOLE dall'anno 1225 al 1327; epoca nella quale furono fatti nuovi Statuti sull'Arte della Seta. |