Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Paradiso
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Canto XXIV
Canto XXIV, dove si tratta de la nona e ultima parte di questa ultima cantica; ne la quale san Pietro Appostolo a priego di Beatrice essamina l'auttore sopra la fede cattolica.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, par. 24 (disegno, 1485/90)
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«O sodalizio eletto a la gran cenadel benedetto Agnello, il qual vi cibasì, che la vostra voglia è sempre piena,se per grazia di Dio questi prelibadi quel che cade de la vostra mensa,prima che morte tempo li prescriba,ponete mente a l'affezione immensae roratelo alquanto: voi bevetesempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa».Così Beatrice; e quelle anime lietesi fero spere sopra fissi poli,fiammando, a volte, a guisa di comete.E come cerchi in tempra d'orïuolisi giran sì, che 'l primo a chi pon mentequïeto pare, e l'ultimo che voli;così quelle carole, differente-mente danzando, de la sua ricchezzami facieno stimar, veloci e lente.Di quella ch'io notai di più carezzavid' ïo uscire un foco sì felice,che nullo vi lasciò di più chiarezza;e tre fïate intorno di Beatricesi volse con un canto tanto divo,che la mia fantasia nol mi ridice.Però salta la penna e non lo scrivo:ché l'imagine nostra a cotai pieghe,non che 'l parlare, è troppo color vivo.«O santa suora mia che sì ne prieghedivota, per lo tuo ardente affettoda quella bella spera mi disleghe».Poscia fermato, il foco benedettoa la mia donna dirizzò lo spiro,che favellò così com' i' ho detto.Ed ella: «O luce etterna del gran viroa cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,ch'ei portò giù, di questo gaudio miro,tenta costui di punti lievi e gravi,come ti piace, intorno de la fede,per la qual tu su per lo mare andavi.S'elli ama bene e bene spera e crede,non t'è occulto, perché 'l viso hai quividov' ogne cosa dipinta si vede;ma perché questo regno ha fatto civiper la verace fede, a glorïarla,di lei parlare è ben ch'a lui arrivi».Sì come il baccialier s'arma e non parlafin che 'l maestro la question propone,per approvarla, non per terminarla,così m'armava io d'ogne ragionementre ch'ella dicea, per esser prestoa tal querente e a tal professione.«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:fede che è?». Ond' io levai la frontein quella luce onde spirava questo;poi mi volsi a Beatrice, ed essa prontesembianze femmi perch' ïo spandessil'acqua di fuor del mio interno fonte.«La Grazia che mi dà ch'io mi confessi»,comincia' io, «da l'alto primipilo,faccia li miei concetti bene espressi».E seguitai: «Come 'l verace stilone scrisse, padre, del tuo caro frateche mise teco Roma nel buon filo,fede è sustanza di cose speratee argomento de le non parventi;e questa pare a me sua quiditate».Allora udi': «Dirittamente senti,se bene intendi perché la ripuosetra le sustanze, e poi tra li argomenti».E io appresso: «Le profonde coseche mi largiscon qui la lor parvenza,a li occhi di là giù son sì ascose,che l'esser loro v'è in sola credenza,sopra la qual si fonda l'alta spene;e però di sustanza prende intenza.E da questa credenza ci convenesilogizzar, sanz' avere altra vista:però intenza d'argomento tene».Allora udi': «Se quantunque s'acquistagiù per dottrina, fosse così 'nteso,non lì avria loco ingegno di sofista».Così spirò di quello amore acceso;indi soggiunse: «Assai bene è trascorsad'esta moneta già la lega e 'l peso;ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa».Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,che nel suo conio nulla mi s'inforsa».Appresso uscì de la luce profondache lì splendeva: «Questa cara gioiasopra la quale ogne virtù si fonda,onde ti venne?». E io: «La larga ploiade lo Spirito Santo, ch'è diffusain su le vecchie e 'n su le nuove cuoia,è silogismo che la m'ha conchiusaacutamente sì, che 'nverso d'ellaogne dimostrazion mi pare ottusa».Io udi' poi: «L'antica e la novellaproposizion che così ti conchiude,perché l'hai tu per divina favella?».E io: «La prova che 'l ver mi dischiude,son l'opere seguite, a che naturanon scalda ferro mai né batte incude».Risposto fummi: «Dì, chi t'assicurache quell' opere fosser? Quel medesmoche vuol provarsi, non altri, il ti giura».«Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo»,diss' io, «sanza miracoli, quest' unoè tal, che li altri non sono il centesmo:ché tu intrasti povero e digiunoin campo, a seminar la buona piantache fu già vite e ora è fatta pruno».Finito questo, l'alta corte santarisonò per le spere un Dio laudamone la melode che là sù si canta.E quel baron che sì di ramo in ramo,essaminando, già tratto m'avea,che a l'ultime fronde appressavamo,ricominciò: «La Grazia, che donneacon la tua mente, la bocca t'aperseinfino a qui come aprir si dovea,sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;ma or convien espremer quel che credi,e onde a la credenza tua s'offerse».«O santo padre, e spirito che vediciò che credesti sì, che tu vincestiver' lo sepulcro più giovani piedi»,comincia' io, «tu vuo' ch'io manifestila forma qui del pronto creder mio,e anche la cagion di lui chiedesti.E io rispondo: Io credo in uno Diosolo ed etterno, che tutto 'l ciel move,non moto, con amore e con disio;e a tal creder non ho io pur provefisice e metafisice, ma dalmianche la verità che quinci pioveper Moïsè, per profeti e per salmi,per l'Evangelio e per voi che scrivestepoi che l'ardente Spirto vi fé almi;e credo in tre persone etterne, e questecredo una essenza sì una e sì trina,che soffera congiunto sono ed este.De la profonda condizion divinach'io tocco mo, la mente mi sigillapiù volte l'evangelica dottrina.Quest' è 'l principio, quest' è la favillache si dilata in fiamma poi vivace,e come stella in cielo in me scintilla».Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace,da indi abbraccia il servo, gratulandoper la novella, tosto ch'el si tace;così, benedicendomi cantando,tre volte cinse me, sì com' io tacqui,l'appostolico lume al cui comandoio avea detto: sì nel dir li piacqui! |