Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto XVIII
Canto XVIII, il quale tratta del sopradetto quarto girone, ove si purga la soprascritta colpa e peccato de l'accidia; e qui mostra Virgilio che è perfetto amore; dove nomina l'abate da San Zeno di Verona.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 18 (disegno, 1485/90)
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Posto avea fine al suo ragionamentol'alto dottore, e attento guardavane la mia vista s'io parea contento;e io, cui nova sete ancor frugava,di fuor tacea, e dentro dicea: Forselo troppo dimandar ch'io fo li grava.Ma quel padre verace, che s'accorsedel timido voler che non s'apriva,parlando, di parlare ardir mi porse.Ond' io: «Maestro, il mio veder s'avvivasì nel tuo lume, ch'io discerno chiaroquanto la tua ragion parta o descriva.Però ti prego, dolce padre caro,che mi dimostri amore, a cui reduciogne buono operare e 'l suo contraro».«Drizza», disse, «ver' me l'agute lucide lo 'ntelletto, e fieti manifestol'error de' ciechi che si fanno duci.L'animo, ch'è creato ad amar presto,ad ogne cosa è mobile che piace,tosto che dal piacere in atto è desto.Vostra apprensiva da esser veracetragge intenzione, e dentro a voi la spiega,sì che l'animo ad essa volger face;e se, rivolto, inver' di lei si piega,quel piegare è amor, quell' è naturache per piacer di novo in voi si lega.Poi, come 'l foco movesi in alturaper la sua forma ch'è nata a salirelà dove più in sua matera dura,così l'animo preso entra in disire,ch'è moto spiritale, e mai non posafin che la cosa amata il fa gioire.Or ti puote apparer quant' è nascosala veritate a la gente ch'avveraciascun amore in sé laudabil cosa;però che forse appar la sua materasempre esser buona, ma non ciascun segnoè buono, ancor che buona sia la cera».«Le tue parole e 'l mio seguace ingegno»,rispuos' io lui, «m'hanno amor discoverto,ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;ché, s'amore è di fuori a noi offertoe l'anima non va con altro piede,se dritta o torta va, non è suo merto».Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,dir ti poss' io; da indi in là t'aspettapur a Beatrice, ch'è opra di fede.Ogne forma sustanzïal, che settaè da matera ed è con lei unita,specifica vertute ha in sé colletta,la qual sanza operar non è sentita,né si dimostra mai che per effetto,come per verdi fronde in pianta vita.Però, là onde vegna lo 'ntellettode le prime notizie, omo non sape,e de' primi appetibili l'affetto,che sono in voi sì come studio in apedi far lo mele; e questa prima vogliamerto di lode o di biasmo non cape.Or perché a questa ogn' altra si raccoglia,innata v'è la virtù che consiglia,e de l'assenso de' tener la soglia.Quest' è 'l principio là onde si pigliaragion di meritare in voi, secondoche buoni e rei amori accoglie e viglia.Color che ragionando andaro al fondo,s'accorser d'esta innata libertate;però moralità lasciaro al mondo.Onde, poniam che di necessitatesurga ogne amor che dentro a voi s'accende,di ritenerlo è in voi la podestate.La nobile virtù Beatrice intendeper lo libero arbitrio, e però guardache l'abbi a mente, s'a parlar ten prende».La luna, quasi a mezza notte tarda,facea le stelle a noi parer più rade,fatta com' un secchion che tuttor arda;e correa contro 'l ciel per quelle stradeche 'l sole infiamma allor che quel da Romatra ' Sardi e ' Corsi il vede quando cade.E quell' ombra gentil per cui si nomaPietola più che villa mantoana,del mio carcar diposta avea la soma;per ch'io, che la ragione aperta e pianasovra le mie quistioni avea ricolta,stava com' om che sonnolento vana.Ma questa sonnolenza mi fu toltasubitamente da gente che dopole nostre spalle a noi era già volta.E quale Ismeno già vide e Asopolungo di sè di notte furia e calca,pur che i Teban di Bacco avesser uopo,cotal per quel giron suo passo falca,per quel ch'io vidi di color, venendo,cui buon volere e giusto amor cavalca.Tosto fur sovr' a noi, perché correndosi movea tutta quella turba magna;e due dinanzi gridavan piangendo:«Maria corse con fretta a la montagna;e Cesare, per soggiogare Ilerda,punse Marsilia e poi corse in Ispagna».«Ratto, ratto, che 'l tempo non si perdaper poco amor», gridavan li altri appresso,«che studio di ben far grazia rinverda».«O gente in cui fervore aguto adessoricompie forse negligenza e indugioda voi per tepidezza in ben far messo,questi che vive, e certo i' non vi bugio,vuole andar sù, pur che 'l sol ne riluca;però ne dite ond' è presso il pertugio».Parole furon queste del mio duca;e un di quelli spirti disse: «Vienidi retro a noi, e troverai la buca.Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,che restar non potem; però perdona,se villania nostra giustizia tieni.Io fui abate in San Zeno a Veronasotto lo 'mperio del buon Barbarossa,di cui dolente ancor Milan ragiona.E tale ha già l'un piè dentro la fossa,che tosto piangerà quel monastero,e tristo fia d'avere avuta possa;perché suo figlio, mal del corpo intero,e de la mente peggio, e che mal nacque,ha posto in loco di suo pastor vero».Io non so se più disse o s'ei si tacque,tant' era già di là da noi trascorso;ma questo intesi, e ritener mi piacque.E quei che m'era ad ogne uopo soccorsodisse: «Volgiti qua: vedine duevenir dando a l'accidïa di morso».Di retro a tutti dicean: «Prima fuemorta la gente a cui il mar s'aperse,che vedesse Iordan le rede sue.E quella che l'affanno non soffersefino a la fine col figlio d'Anchise,sé stessa a vita sanza gloria offerse».Poi quando fuor da noi tanto divisequell' ombre, che veder più non potiersi,novo pensiero dentro a me si mise,del qual più altri nacquero e diversi;e tanto d'uno in altro vaneggiai,che li occhi per vaghezza ricopersi,e 'l pensamento in sogno trasmutai. |