Dante Alighieri
1265 - 1321
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La Divina commedia
Purgatorio
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Canto VII
Canto VII, dove si purga la quarta qualitade di coloro che, per propria negligenza, di die in die di qui all'ultimo giorno di loro vita tardaro indebitamente loro confessione; li quali si purgano in uno vallone intra fiori ed erbe; dove nomina il re Carlo e molti altri.
Sandro Botticelli, Divina Commedia, pur. 7 (disegno, 1485/90)
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Poscia che l'accoglienze oneste e lietefuro iterate tre e quattro volte,Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».«Anzi che a questo monte fosser voltel'anime degne di salire a Dio,fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.Io son Virgilio; e per null' altro riolo ciel perdei che per non aver fé».Così rispuose allora il duca mio.Qual è colui che cosa innanzi sésùbita vede ond' e' si maraviglia,che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,e umilmente ritornò ver' lui,e abbracciòl là 've 'l minor s'appiglia.«O gloria di Latin», disse, «per cuimostrò ciò che potea la lingua nostra,o pregio etterno del loco ond' io fui,qual merito o qual grazia mi ti mostra?S'io son d'udir le tue parole degno,dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».«Per tutt' i cerchi del dolente regno»,rispuose lui, «son io di qua venuto;virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.Non per far, ma per non fare ho perdutoa veder l'alto Sol che tu disirie che fu tardi per me conosciuto.Luogo è là giù non tristo di martìri,ma di tenebre solo, ove i lamentinon suonan come guai, ma son sospiri.Quivi sto io coi pargoli innocentidai denti morsi de la morte avanteche fosser da l'umana colpa essenti;quivi sto io con quei che le tre santevirtù non si vestiro, e sanza vizioconobber l'altre e seguir tutte quante.Ma se tu sai e puoi, alcuno indiziodà noi per che venir possiam più tostolà dove purgatorio ha dritto inizio».Rispuose: «Loco certo non c'è posto;licito m'è andar suso e intorno;per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.Ma vedi già come dichina il giorno,e andar sù di notte non si puote;però è buon pensar di bel soggiorno.Anime sono a destra qua remote;se mi consenti, io ti merrò ad esse,e non sanza diletto ti fier note».«Com' è ciò?», fu risposto. «Chi volessesalir di notte, fora elli impeditod'altrui, o non sarria ché non potesse?».E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,dicendo: «Vedi? sola questa riganon varcheresti dopo 'l sol partito:non però ch'altra cosa desse briga,che la notturna tenebra, ad ir suso;quella col nonpoder la voglia intriga.Ben si poria con lei tornare in giusoe passeggiar la costa intorno errando,mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».Allora il mio segnor, quasi ammirando,«Menane», disse, «dunque là 've dicich'aver si può diletto dimorando».Poco allungati c'eravam di lici,quand' io m'accorsi che 'l monte era scemo,a guisa che i vallon li sceman quici.«Colà», disse quell' ombra, «n'anderemodove la costa face di sé grembo;e là il novo giorno attenderemo».Tra erto e piano era un sentiero schembo,che ne condusse in fianco de la lacca,là dove più ch'a mezzo muore il lembo.Oro e argento fine, cocco e biacca,indaco, legno lucido e sereno,fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,da l'erba e da li fior, dentr' a quel senoposti, ciascun saria di color vinto,come dal suo maggiore è vinto il meno.Non avea pur natura ivi dipinto,ma di soavità di mille odorivi facea uno incognito e indistinto.Salve, Regina in sul verde e 'n su' fioriquindi seder cantando anime vidi,che per la valle non parean di fuori.«Prima che 'l poco sole omai s'annidi»,cominciò 'l Mantoan che ci avea vòlti,«tra color non vogliate ch'io vi guidi.Di questo balzo meglio li atti e ' volticonoscerete voi di tutti quanti,che ne la lama giù tra essi accolti.Colui che più siede alto e fa sembiantid'aver negletto ciò che far dovea,e che non move bocca a li altrui canti,Rodolfo imperador fu, che poteasanar le piaghe c'hanno Italia morta,sì che tardi per altri si ricrea.L'altro che ne la vista lui conforta,resse la terra dove l'acqua nasceche Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:Ottacchero ebbe nome, e ne le fascefu meglio assai che Vincislao suo figliobarbuto, cui lussuria e ozio pasce.E quel nasetto che stretto a consigliopar con colui c'ha sì benigno aspetto,morì fuggendo e disfiorando il giglio:guardate là come si batte il petto!L'altro vedete c'ha fatto a la guanciade la sua palma, sospirando, letto.Padre e suocero son del mal di Francia:sanno la vita sua viziata e lorda,e quindi viene il duol che sì li lancia.Quel che par sì membruto e che s'accorda,cantando, con colui dal maschio naso,d'ogne valor portò cinta la corda;e se re dopo lui fosse rimasolo giovanetto che retro a lui siede,ben andava il valor di vaso in vaso,che non si puote dir de l'altre rede;Iacomo e Federigo hanno i reami;del retaggio miglior nessun possiede.Rade volte risurge per li ramil'umana probitate; e questo volequei che la dà, perché da lui si chiami.Anche al nasuto vanno mie parolenon men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,onde Puglia e Proenza già si dole.Tant' è del seme suo minor la pianta,quanto, più che Beatrice e Margherita,Costanza di marito ancor si vanta.Vedete il re de la semplice vitaseder là solo, Arrigo d'Inghilterra:questi ha ne' rami suoi migliore uscita.Quel che più basso tra costor s'atterra,guardando in suso, è Guiglielmo marchese,per cui e Alessandria e la sua guerrafa pianger Monferrato e Canavese». |